2008-10-12

Russi

Ho già raccontato in precedenza di avere una vicina russa, Inna. Mi capita una sera di incrociarla sul pianerottolo, e quella mi dice che sta a casa con degli amici, e mi invita a unirmi. Ben venga, per dimostrare la mia buona volontà mi presento con una boccia di Nero d'Avola, ed eccomi nel salotto della mia vicina.

L'appartamento è speculare al mio, solamente che invece del parquet in linoleum ci sono delle gelide piastrelle. Le luci al neon bianche invece sono le stesse. Nella sala c'è un divano, un tavolino basso, delle sedie e una TV su un mobiletto, praticamente come nella mia. Due personaggi sono già seduti con delle bottiglie di birra Baltika in mano. Una si chiama Inna, proprio come la mia ospite: grassoccia, naso a patata, fondi di bottiglia sugli occhi, mi fa un sorriso e mi saluta. L'altro è Vova, da me conosciuto come il tamarro del palazzo, un minorenne alto più di me che ama scarabocchiare in cirillico sui muri delle scale e pimpare il suo motorino con improbabili stereo per aumentare il volume della musica techno russa. Non mi ha mai salutato né sorriso, invece ora allunga la mano affabile, con quell'aria un po' losca tipica degli slavi che più ti sorridono più ti fanno pensare che ti stanno fregando.

Inna la vicina fa la manager in un ristorante di fronte al compound diplomatico di Gongti Bei Lu. Si vede che è brava e si sbatte, anche se il posto è talmente pacchiano che non mi sono mai azzardato ad entrare. L'altra Inna lavora in una non meglio precisata trading, e anche lei è una ragazza seria, con la testa a posto. Vova ha 17 anni, vive con la madre che è la classica signora russa biondissima, algida, leopardata e con due seni di dimensioni impossibili; il padre non è ben chiaro dove sia. Va a scuola a Pechino, ma con scarsi risultati: poco male, perché tanto lui odia la scuola, odia la Cina e vuole fare il DJ; nell'attesa di diplomarsi ed uscire di casa, spaccia hashish.

Le due Inna sono poco impressionate dalla mia boccia di vino – una non ne beve, l'altra lo beve solo bianco. Vova invece individua lo status symbol del ricco pappone e, praticamente da solo, svuota la bottiglia. I tre hanno un computer che, sul Windows Media Player, suona musica techno russa: Vova intanto si diverte a mostrare dei video, forse scaricati da Youtube, con delle gratuitissime scene di violenza tipo: cinque ragazzi russi che si picchiano (e non parlo di pugni allo stomaco, ma di colpi di anfibio in faccia e gomitate alle tempie), soldati russi che, ridendo, stanno fermi in fila con un sergente che, uno a uno, li prende a ginocchiate nello stomaco, tre amici che litigano e a sorpresa uno tira fuori una catena e colpisce un altro; il terzo prova a dividerli e si becca un colpo di catena anche lui, quindi inizia una rissa reale in cui tutti picchiano tutti finché altri passanti intervengono per aumentare il livello di violenza e sangue.

Vova si spancia ma le due Inna, al contrario di me, non sono per nulla impressionate. La mia vicina mi spiega “This is how Russian young people like to have fun. It's normal in Russia. Everybody does it”. Vova è molto fiero di sé stesso e della sua nazione in questo momento, almeno finché Inna non chiude amareggiata con: “I come from Vladivostok. No way in going back to that shit”. Vova dissente: lui la Russia la idealizza: altro che 'sto paese di debosciati, dice, in Russia c'è da divertirsi! La seconda Inna concorda con l'amica. La Russia è un postaccio e a Pechino, se uno ha voglia di lavorare onestamente, si sta molto ma molto meglio. Scopro quindi che la maggior parte dei russi di Pechino, come mi spiegano, è siberiana: gente di Vladivostok, di Irkutsk e del resto della Russia orientale.

I russi sono la comunità europea più antica a Pechino, e la loro ambasciata, circondata da un enorme parco all'interno del Secondo Anello, ne è testimonianza. Esiste addirittura un quartiere russo a Pechino, con una via, Yabao Lu, dove i negozi hanno insegne in cirillico e vendono pellicce e altre cose importate direttamente da oltreconfine. La sera la zona diventa ovviamente losca, con una serie di night club tra i più costosi della città, se non altro perché le bionde comandano prezzi ben più alti delle orientali, e questo in tutta l'Asia. Non ho idea di quanti russi ci siano a Pechino, ma sono tanti, forse la comunità straniera più estesa, e ad essi si aggiungono i russi cinesi, quelli che qui vengono definiti “cinesi appartenenti alla minoranza etnica russa”.

Per tutto il tempo i miei compagni di bevuta hanno continuato a interloquire tra loro in russo, utilizzando l'inglese solo per parlare direttamente a me. All'aumentare dell'alcool e fondamentalmente della noia e della stanchezza, succede che finiscono a parlare tra loro praticamente dimentichi della mia presenza, se non ogni tanto Vova che alza il bicchiere per brindare con me. Dopo un quarto d'ora che nessuno mi rivolge la parola, totalmente escluso dalla conversazione e annoiato a morte dalla techno russa, mi congedo. Vova, mescolando birra e vino, è bello alticcio e quando gli lascio il fondo della bottiglia decide che sono diventato suo amico, e quindi mi invita a chiamarlo nel caso mi servisse dell'hashish. “Anytime, you just call me, I can bring you the next day!”. Grazie, dico, ti farò sapere. Inna mi saluta calorosamente e mi invita a tornare quando voglio, l'altra mi sorride con simpatia, e non capisco sinceramente se si rendono conto che mi sono annoiato da morire. O forse è colpa mia, quando loro mi hanno invitato a bere qualcosa da loro intendevano che bere era lo scopo della serata, e si aspettavano che mi ubriacassi invece di far conversazione tutto il tempo.

Torno a casa sorpreso da questa strana gente. Saranno anche d'origine europea, ma per me i russi son più strani che i cinesi. Senz'altro condivido l'opinione che qui sia molto meglio che nel loro Paese, se non altro per l'ospitalità della gente. Mi fa piacere comunque aver conosciuto questi russi pechinesi e aggiungere un tassello alla mia comprensione di questa città, all'apparenza così semplice e monolitica, e invece così antica e complessa.

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