I miei ci vanno ben felici, con le mie indicazioni, io mi rifiuto non tanto per la mia antipatia al Cristianesimo, che sfuma sempre più col passare degli anni, quanto per l’ipocrisia dei cattolici, così persi nei loro riti vuoti, e sempre meno concentrati sul senso dell’essere cristiani. Mia madre, tuttavia, ne è entusiasta, si emoziona a vedere cattolici di tanti paesi diversi riunirsi per il Natale, attorno a un’ambasciata e un sacerdote.
Il giorno di Natale stiamo a casa, sarà un pranzo in famiglia, con le poche cose che abbiamo, riuniti attorno a un tavolo da soggiorno troppo basso, seduti su un divano. Vicky purtroppo parte in mattinata, dovendo tornare al lavoro a Chengdu. Rimaniamo io e i miei, nella luce grigia ma intensa del dicembre pechinese. Mia madre prepara della pasta al ragù come la tradizione italiana impone, io e mio padre usciamo per andare prima al Jenny Lou, quasi unici cienti la mattina de 25 dicembre, e ci procuriamo mascarpone e un panettone “La Torinese”, con tanto di immagine di Torino ottocentesca sulla scatola. La cassiera ci regala una bottiglia di vino, a marchio Jenny Lou, una di quelle porcherie fatte in California dalla Summergate – ma è Natale, e il regalo è apprezzato. Al 7 Eleven giapponese ci procuriamo le uova per la crema al mascarpone, come impone la legge di auto-preservazione della vita – le disinfetteremo comunque con brandy Changyu da 18 kuai. E poi una puntata al White Nights, il ristorante russo di fronte all’ambasciata sotto casa, per portar via un piatto di salmone con patate e funghi. Mentre saliamo in ascensore, la ragazza che schiaccia i bottoni sorride, e ci augura “Buon Natale”. “Come fai a sapere che è Natale? Sei cristiana?” lei chiedo. Risponde, con una punta d’orgoglio, “我是罗马天主, sono Cattolica Romana” e, con fare losco, produce dal suo libretto un’immaginetta del Papa Benedetto XVI, vietatissima in questo Paese. Non so perché, forse perché per la prima volta il Cattolicesimo mi sembra un atto di ribellione più che di conformismo, ma la cosa mi fa piacere. Sorrido e contraccambio gli auguri.
Il pranzo è incredibilmente internazionale, ci sono piatti e ingredienti da almeno tre continenti. Ciò che più conta, è un pranzo in famiglia. Sono felice che i miei siano venuti fin qui dall’Italia per passare le Feste con me, e che si stiano rendendo conto di quello che vivo qui, e che in fondo qui non si sta per niente male.
Nel pomeriggio usciamo di nuovo, nel freddo incredibile e nella luce pallida che si affievolisce. Prendiamo un taxi verso lo Yuanmingyuan. E’ strano visitarlo il giorno di Natale, siamo praticamente gli unici ospiti a parte una piccola comitiva di cinesi che si tiene ben lontana. In inverno il parco ha un che di desolato, come se le truppe Anglo-francesi lo avessero depredato poco tempo fa. Al tramonto il freddo ci convice ad andarcene: usciamo da una porta laterale e ci troviamo su uno stradone trafficato, all’ora di punta di un giorno lavorativo. Ci rifugiamo per un attimo in un cortile dove troviamo una scuola di pittura e scultura occidentali, con copie di capolavori accatastate un po’ ovunque, e un signore che gentilmente ci fa fare un giro, prima di tentare timidamente di venderci qualcosa. Ci mettiamo un po’ a reperire un taxi, ma per fortuna ce la si fa, e s’arriva a casa che è ormai buio.
Un altro Natale è passato, il mio primo Natale a Pechino, con i miei genitori. E’ strano, ma sarò uno dei Natali di cui conserverò una memoria più nitida e piacevole in futuro, un Natale dall’altra parte del Mondo, in un Paese non cristiano, ma comunque profondamente sentito.
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