2008-01-29

Il Visto per l’Italia

A Dandan piacerebbe vedere l’Italia. D’altra parte, a chi non piacerebbe? Decidiamo di informarci sulle condizioni di visto turistico all’Ambasciata, così, giusto per sapere come prepararci a un futuro viaggio insieme.

Così, una bella mattina di gennaio, faccio il mio ritorno in ambasciata come il gennaio di quattro anni prima, quand’ero arrivato. Alla porta c’è una guardia cinese che parla anche italiano. “Cosa vuole?” mi chiede da dietro una grata di ferro. “Cerco l’ufficio visti” dico. “ L’ufficio visti è chiuso il pomeriggio. Torni domani mattina”. Sarà che ha imparato l’italiano qui, suona indisponente quanto la signora dello sportello tanti anni fa.

Il giorno dopo torno, la mattina. Solito omino alla grata. “Salve, oggi mi fa entrare?” chiedo col sorriso. “L’ufficio visti è chiuso: apre tra le 9 e le 11. Torni domani”. Guardo l’orologio, sono le 11.09. Non ci vedo più. Il poverino ci rimane male a vedere quante gliene dico, tanto che mi fa entrare lo stesso. Dentro ci sono una marea di cinesi con delle facce da patibolo, quelle facce di chi ha perso tutto, anche a speranza. Sei sportelli, due impiegati, più altri cinque alle scrivanie che fanno altro. Vado a uno degli sportelli vuoti e chiamo uno che sta alla scrivania. Quello è anche gentile, sarà che sono italiano. Mi da’ un plico di moduli complcatissimi, mi chiede una lettera d’introduzione, un deposito bancario di alcune migliaia di euro (se un cinese vuole espatriare ebbene sì, deve lasciare una caparra, non sia mai che decida di non ritornare) e mi saluta. Per il visto ci vuole una settimana. Per compilare i moduli, probabilmente, un’altra settimana buona.

Parlando della mia esperienza con amici, vengo a sapere di un recente sondaggio condotto da qualche TV locale, secondo cui l’ambasciata italiana è stata votata la peggiore come servizi. Pare che se 10 chiamate che hanno fatto i giornalisti, solamente alla nostra ambasciata nessuno ha risposto mai. Le mail tornavano indietro, gli orari di apertura sono stati giudicati “ridicoli”. Un amico che insegna italiano mi racconta che molti studenti cinesi cominciano le sue classi, ma quando vengono a scoprire quanto è difficile ottenere un visto per l’Italia, passano tutti a studiare francese o spagnolo. In effetti, il numero di studenti cinesi in qualunque altro Paese europeo è superiore al nostro di almeno 5 volte, più spesso 10.

Ma che bella figura che ci fanno fare le nostre istituzioni all’estero. Poi Bossi dice che è troppo facile per gli stranieri entrare in Italia. In Italia va detto, niente è facile a meno che la mafia ti aiuti. In molti casi è più semplice entrare in Italia illegalmente che legalmente. Che Paese. Io resto qui, per ora non ho proprio intenzione di muovermi. Quando sarà ora di portare in Italia la mia lei, cercherò di arrangiarmi secondo la logica italiana, ovvero non chiedendo alla persona responsabile ma a quella più potente e rispettata.

2008-01-20

Natale Parte Terza – Gli Italiani all’Estero

Per molti italiani, grazie al Cielo il Natale, ha ancora il suo senso originale, ovvero una festa cristiana, una festa della famiglia, e l’essenza del Natale è ancora andare a messa. La messa di Natale, da che mondo e mondo, si tiene a mezzanotte, solo che in Cina, per prevenire riunioni di gruppi religiosi con il favore dell’oscurità, la messa di mezzanotte è proibita. La chiesa di San Giuseppe in Wangfujing la celebra alle 6.15 del mattino, se no in alternativa c’è la messa per stranieri tenuta nella ambasciate, e ce n’è appunto una celebrata all’ambasciata italiana alle 6 di sera della vigilia, con un sacerdote che parla quattro lingue. Accorrono le comunità italiana, francese, spagnola e portoghese, che poi sono i cattolici europei a Pechino.

I miei ci vanno ben felici, con le mie indicazioni, io mi rifiuto non tanto per la mia antipatia al Cristianesimo, che sfuma sempre più col passare degli anni, quanto per l’ipocrisia dei cattolici, così persi nei loro riti vuoti, e sempre meno concentrati sul senso dell’essere cristiani. Mia madre, tuttavia, ne è entusiasta, si emoziona a vedere cattolici di tanti paesi diversi riunirsi per il Natale, attorno a un’ambasciata e un sacerdote.

Il giorno di Natale stiamo a casa, sarà un pranzo in famiglia, con le poche cose che abbiamo, riuniti attorno a un tavolo da soggiorno troppo basso, seduti su un divano. Vicky purtroppo parte in mattinata, dovendo tornare al lavoro a Chengdu. Rimaniamo io e i miei, nella luce grigia ma intensa del dicembre pechinese. Mia madre prepara della pasta al ragù come la tradizione italiana impone, io e mio padre usciamo per andare prima al Jenny Lou, quasi unici cienti la mattina de 25 dicembre, e ci procuriamo mascarpone e un panettone “La Torinese”, con tanto di immagine di Torino ottocentesca sulla scatola. La cassiera ci regala una bottiglia di vino, a marchio Jenny Lou, una di quelle porcherie fatte in California dalla Summergate – ma è Natale, e il regalo è apprezzato. Al 7 Eleven giapponese ci procuriamo le uova per la crema al mascarpone, come impone la legge di auto-preservazione della vita – le disinfetteremo comunque con brandy Changyu da 18 kuai. E poi una puntata al White Nights, il ristorante russo di fronte all’ambasciata sotto casa, per portar via un piatto di salmone con patate e funghi. Mentre saliamo in ascensore, la ragazza che schiaccia i bottoni sorride, e ci augura “Buon Natale”. “Come fai a sapere che è Natale? Sei cristiana?” lei chiedo. Risponde, con una punta d’orgoglio, “我是罗马天主, sono Cattolica Romana” e, con fare losco, produce dal suo libretto un’immaginetta del Papa Benedetto XVI, vietatissima in questo Paese. Non so perché, forse perché per la prima volta il Cattolicesimo mi sembra un atto di ribellione più che di conformismo, ma la cosa mi fa piacere. Sorrido e contraccambio gli auguri.

Il pranzo è incredibilmente internazionale, ci sono piatti e ingredienti da almeno tre continenti. Ciò che più conta, è un pranzo in famiglia. Sono felice che i miei siano venuti fin qui dall’Italia per passare le Feste con me, e che si stiano rendendo conto di quello che vivo qui, e che in fondo qui non si sta per niente male.

Nel pomeriggio usciamo di nuovo, nel freddo incredibile e nella luce pallida che si affievolisce. Prendiamo un taxi verso lo Yuanmingyuan. E’ strano visitarlo il giorno di Natale, siamo praticamente gli unici ospiti a parte una piccola comitiva di cinesi che si tiene ben lontana. In inverno il parco ha un che di desolato, come se le truppe Anglo-francesi lo avessero depredato poco tempo fa. Al tramonto il freddo ci convice ad andarcene: usciamo da una porta laterale e ci troviamo su uno stradone trafficato, all’ora di punta di un giorno lavorativo. Ci rifugiamo per un attimo in un cortile dove troviamo una scuola di pittura e scultura occidentali, con copie di capolavori accatastate un po’ ovunque, e un signore che gentilmente ci fa fare un giro, prima di tentare timidamente di venderci qualcosa. Ci mettiamo un po’ a reperire un taxi, ma per fortuna ce la si fa, e s’arriva a casa che è ormai buio.


Un altro Natale è passato, il mio primo Natale a Pechino, con i miei genitori. E’ strano, ma sarò uno dei Natali di cui conserverò una memoria più nitida e piacevole in futuro, un Natale dall’altra parte del Mondo, in un Paese non cristiano, ma comunque profondamente sentito.

2008-01-14

Natale Parte Seconda - Natale Pechinese

Dandan arriva a Pechino la sera del 23 di dicembre, dopo un’altra giornata di lavoro. Come al solito, la ricevo all’aeroporto, e la accompagno a casa. Ma a casa mia ci sono i miei, ed ecco l’incontro ufficiale. I miei sono nervosi, sospettosi, la riempiono di domande. Anche lei è nervosa, ma risponde a tutto col sorriso sulle labbra. Io faccio da traduttore smorzando tutti i toni per migliorare la comunicazione. Un’ora e mezza dopo è fatta, l’esame superato. Si va a letto.

Con i genitori nella camera affianco e le pareti di carta velina non è facile fare l’amore, ma d’altra parte più di un mese di separazione ci rende pronti a qualsiasi cosa. E’ una notte speciale, in cui ancora una volta raggiungo quello stato di coscienza che è un gradino sulla scalata della samadhi.

E poi, il giorno dopo è la vigilia di Natale. A sera, abbandoniamo i miei genitori e usciamo. Ho chiamato inutilmente Marino per prenotare due posti al suo ristorante, ma dato che non risponde, tanto vale cambiare programma. Una telefonata a Piero risolve tutto. E allora via, all’Aperitivo, per brindare con un bicchiere di prosecco al nostro Natale. Il locale è quasi vuoto, a parte qualche tavolo di giovani donne single e un italiano che fa a gara di chupiti con Stefano. Io e Dandan sediamo vicini al vetro che separa dal giardino, fronte contro fronte, i bicchieri che tintinnano scontrandosi in un brindisi.

“Sai” le dico “sono un po’ spaventato. Il Natale non è una festa per gli innamorati, ma una festa per le famiglie. Ma non è un caso che io la stia passando con te. Perché mi rendo conto solo ora che un giorno io e te potremmo essere una famiglia”

Lei mi sorride, trova divertenti le mie paure da uomo. Mi bacia. Un ultimo sorso di prosecco e poi via, verso la Dolce Vita, dove ci attende la nostra cena. E’ la prima volta che vedo il ristorante di sera, e non mi aspettavo che fosse così romantico: ci sono candele ovunque, e rimane un solo tavolo libero, in un angolo discreto. Piero è nervosissimo, in completo grigio gira tra i tavoli controllando che nulla sia fuori posto. Ci fa accomodare tenendo la sedia a Dandan.

“Ora capisco perché aspettavi tanto la tua ragazza” mi dice, nel suo accento pistoiese “complimenti, davvero una gran bella figliola”

Faccio fatica a tradurre la cosa a Dandan, ma il complimento mi fa davvero piacere. In effetti è la ragazza di gran lunga più bella nel ristorante, da far girar la testa agli uomini. Ordino una bottiglia di vino. Siamo entrambi alticci, ma è Natale, non voglio badare a spese.

Il cibo è divino, il servizio ottimo, l’atmosfera eccezionale. La musica in sottofondo, per una volta a Pechino, è perfetta, con canzoni natalizie lente e cullanti.

“Questo è di gran lunga il miglior Natale della mia vita” mi dice Dandan. Secondo la tradizione cinese, la situazione perfetta richiede tre condizioni: il momento perfetto (天时), il luogo perfetto (地利), la persona perfetta (人和). La vigilia di Natale, un ristorante italiano romantico a Pechino, la persona che si ama.

“Questo è la serata perfetta” mi dice.

Le nostri mani si stringono, i nostri occhi si immergono gli uni dentro gli altri. Ci baciamo di nuovo, dolcemente, completamente dimentichi del mondo attorno a noi.

Torniamo a casa tenendoci per mano, entrambi alticci e incredibilmente felici. I miei dormono, la casa è buia e silenziosa. La porta di camera nostra si chiude, e i nostri vestiti scivolano di nuovo a terra.

Facciamo l’amore dolcemente, poi disperatamente, poi gioiosamente, come se il tempo non avesse più significato. Sì, questa è la serata perfetta. L’oblio ci copre abbracciati, tirando il sipario su una notte perfetta, la nostra prima Vigilia di Natale assieme.

2008-01-08

Natale Parte Prima – La Festa delle Mazzate

Il Natale è una festa cristiana, e in Cina la data del 25 dicembre o quella del solstizio invernale non sono mai state associata ad una celebrazione specifica. Ma il capitalismo globalizzante è una forza che cambia il mondo, e così anche nel Paese di Mezzo il Natale è diventato un’ottima occasione per acquistare cose inutili, fare festa e ricoprire un po’ qualunque cosa (persone incluse) con lucette colorate intermittenti che tanto piacciono agli abitanti di questa nazione.

Il Natale in Cina assume le sembianze di quello americano stereotipato, naturalmente. Nessuna immagine di angeli o Gesù bambini, niente presepi, assolutamente nessun simbolo cristiano. Si vedono invece un sacco di panzoni barbuti vestiti con i colori della Coca Cola, molti di essi automi a grandezza naturale che ballano meccanicamente e che, di tanto in tanto, ridono col vocione o illuminano gli occhi di luci brillanti. Insieme ai suddetti panzoni, gran copia di slitte e renne. “Merry Christmas” è scritto un po’ ovunque, e praticamente tutti i ristoranti – occidentali, cinesi, ma anche tailandesi o tibetani – mettono su un CD di jingle natalizi irritantissimi, ovviamente a palla e in loop perenne.

Il Natale in Cina è più un’occasione commerciale che una festa sentita, e il massimo impatto sulla vita di un cinese è quello di una serata fuori con gli amici a festeggiare, ballando in discoteca e ubriacandosi la sera della vigilia, per poi forse pentirsene il giorno successivo, che il più delle volte è lavorativo.

In nessun posto al mondo, tuttavia, il Natale assume connotati più peculiari che a Chengdu. I chengdunesi adorano il Natale, per loro non è una semplice operazione commerciale, ma un’occasione di puro divertimento a lungo attesa per tutto l’anno. La sera della vigilia, i chengdunesi escono dall’ufficio e vanno a mangiare con gli amici in un ristorante di piccantissimo hot pot, quindi si riversano in Piazza Tianfu e nelle vie principali del centro, dove migliaia di venditori ambulanti sono già attrezzati con decine di migliaia di mazze in plastica piene d’aria (tipo palloncino, ma con la scorza più dura per resistere agli urti). Tali mazze possono assumere la forma di grossi martelli fluorescenti, magari con qualche pupazzetto della Disney sopra, piuttosto che mazze da baseball a stelle e strisce e fuori misura.

Quando il centro comincia a essere pieno come la metropolitana nelle ore di punta, e respirare diventa complicato, cominciano le mazzate. Prima se le danno gli amici tra di loro, poi si tirano in mezzo sconosciuti, finché il tutto si trasforma in una battaglia violentissima e, per i chengdunesi, divertentissima. C’è che si difende, c’è chi fugge, c’è chi picchia più e più forte, c’è che semplicemente porta le bombolette di schiuma e via in faccia ai passanti, c’è chi si fa sfuggire la situazione sfugge di mano, martella la persona sbagliata e la rissa diventa reale.

Quest’anno 2.000 poliziotti sono stati mobilitati per controllare la situazione, con effetto pressoché nullo, considerata la pigrizia media della polizia cinese. Il sindaco ha fatto un appello televisivo per chiedere ai cittadini di astenersi dal rito, peraltro pare iniziato da un gruppo di studenti cinesi nel 1998; anche questo non è servito a nulla. La notte della viglia, come sempre, i cittadini di Chengdu si sono riversati sotto la grande statua marmorea del Grande Timoniere per prendersi vicendevolmente a botte, con gran risate generali. Come al solito, quelli che non sono finiti in ospedale o alla stazione di polizia più vicina, sono andati al karaoke a bere e cantare.

E così è passato un altro Natale chengdunese. Non è che Dandan non trovi la tradizione della sua città completamente idiota, ma di fatto nella sua esperienza la nozione di Natale era quantomeno incompleta, e non l’aveva minimamente preparata al Natale che avremmo invece celebrato insieme a Pechino.