2007-11-13

Mantrastordite

Un bel giorno un mio amico, che chiameremo Alessio, mi racconta che è stato invitato da alcuni buddhisti a partecipare a un incontro, e mi estende l’invito per vedere se posso essere interessato a unirmi a questa piccola comunità di stranieri che praticano la via dell’Illuminato. Accetto subito, interessato come sono a vedere quali strane vie prende il misticismo in questo Paese.

Ho conosciuto Alessio tramite altri amici italiani, e la cosa che per prima mi viene in mente di lui è che possiede un fantastico Changjiang 750 di seconda o terza mano, corroso dai venti del deserto e con davanti una bella bandiera italiana e quattro stelle, le stelle dei Mondiali di Calcio vinti, a eterno scorno dei francesi che altro del resto non meritano. Se lo volete vedere di persona, lo trovate parcheggiato sotto l’Oriental Kenzo falso di Dongzhimen quasi tutti i giorni, visto che il mio amico lavora lì.

Orbene, io Alessio e un’altra sua amica sino-italiana ci troviamo un giovedì sera in Jianchang Hutong, nei pressi della vecchia Accademia Imperiale (国子监), in un complesso residenziale che ben conosco. Si tratta di obbrobriose villette a schiera costruite negli anni’60-’70 all’interno della Jianchang (箭厂), l’area di Pechino dove si concentravano i fabbricanti d’archi e si esercitavano i rampolli candidati al mandarinato e i guerrieri manciù. La grande piazza era già stata trasformata in Santa Barbara dai Giapponesi, e qualcuno poco dopo il 1953 decise di destinare lo spazio per la costruzione di case per i dipendenti della Biblioteca della Capitale, trasferita appunto in quell’anno entro le mura della vecchia Accademia feudale. All’inizio le case non erano altro che pingfang rancidissimi, poi vennero su le villette a schiera, che ben presto si ricoprirono di crepe, muffe, gabbie anti-ladro ed estensioni in mattoni, legno e plexiglass come nelle peggiori periferie del mondo. Quindi nel 1999 qualcuno decise di comprare gli schifi, demolire le parti aggiunte dai vecchi inquilini, restaurare le villette a schiera, aggiungere edera, bonsai e porte tonde e farle passare per case tradizionali restaurante chiamate “Yonghe Villa” (雍和别墅), una residenza moderna all’interno degli hutong di Pechino.

Non mi stupisce scoprire che all’interno vivono solo stranieri danarosi e non sinoparlanti, classici espatriati in cerca della “China Experience”, ma con piscina e TV via cavo. Il gruppo buddhista si riunisce appunto in una di queste villette a schiera, appartenente al membro più anziano, che scopro essere un’italiana sui quarant’anni. Insieme a lei altre due italiane più giovani, sui trenta, il che immediatamente mi mette in guardia – mi aspettavo buddhisti cinesi, e trovo un circolo di buddhiste all’amatriciana, tanto più che tutte hanno marcato accento romano, laziale, o comunque del Sud Italia. In qualche modo la calata con cui parlano mi porta immediatamente alla mente quel personaggio di Verdone, l’hippie che diceva “Cioè, tu non capisci che flash” con una canna in mano.

Quando arriviamo stanno sedute davanti a un altarino posizionato dentro un armadio, recitando il mantra “Namu Myoho Renge Kyo”. Siamo intimiditi, imbarazzati dall’interrompere la loro solenne meditazione. Una delle ragazze ci fa segno di sederci e seguire su un libretto che ha lo stesso aspetto dei libretti ecumenici che si trovano in chiesa, con la messa scritta. La meditazione finisce in un quarto d’ora, e quindi ci si siede attorno a un tavolo, con le tre buddhiste che ci danno il benvenuto con un’aria saputella che decisamente mi da’ ai nervi, insieme alla loro sciocca calata centro-italica che di solenne non ha nulla. Domande? chiedono. No, magari cominciate voi a parlare di questa cosa, diciamo noi.

Viene fuori che la scuola buddhista che le ragazze seguono è di ispirazione giapponese. Il membro anziano comunque la prende alla larga, assumendo che non sappiamo nulla di buddhismo, e la sua spiegazione suona più o meno così.

“Cioè. Molto molto prima di Gesù Cristo c’era Buddha, no? Buddha, che poi era solo uno dei Buddha, che si chiamava Sakyamuni, perché ce ne sono tantissimi, ricevette l’illuminazione, e diffuse il Buddhismo, che poi è la religione della pace interiore. In pratica Sakyamuni diceva che per raggiungere l’illuminazione bisogna farsi monaci, rinunciare a un sacco di cose, eccetera. Poi però è venuto questo Nichiren, che era un monaco giapponese, e lui meditava tantissimo. E in pratica, secoli dopo Sakyamuni, lui ha capito una cosa che nessun altro aveva capito prima: che per raggiungere l’illuminazione e avere la pace interiore non serve fare tutte queste cose, basta recitare un mantra, il Namu Myoho Renge Kyo, e questo è quello che facciamo. Cioé in pratica Nichiren ha rivoluzionato il Buddhismo e adesso non serve più farsi monaci, noi abbiamo provato e funziona”

Sorriso tirato. Loro si rendono conto del mio scetticismo, che si taglia col coltello nell’aria della stanza, ma non del fatto che forse ne so un po’ più di loro della materia. Apro con una domanda semplice per rompere il ghiaccio: “Che significa il mantra?”

“Beh, cioé, letteralmente significa “dedico la mia vita alla Legge del Sutra del Loto”... ma il significato non è importante, quello che conta è la concentrazione, bisogna recitarlo a lungo per capirlo”

Poche idee, ma confuse. Seconda domanda: “Quando meditate, a cosa pensate? Fate vuoto nella mente o vi concentrate su qualcosa?”

Le buddhiste si guardano, una dice “Ecco, questo vuole la ricetta subito”

“Quindi?” la incalzo io, impassibile.

“Cioè. Non devi pensare a cosa pensare, puoi pensare a quello che vuoi, basta che reciti il mantra”

“Mi stai dicendo che lasci la mente libera, che so, pensi al lavoro, ai tuoi problemi, a qualunque cosa?” sono confuso io, ora.

“Ma pensa a quello che vuoi, non la devi fare difficile! Puoi anche pregare per avere qualcosa. Cioè sei troppo prigioniero dei pensieri!”.

La donna è in difficoltà, e cerca di uscirne con un “Guarda, facciamo prima a farti degli esempi che a parlare di teorie”

Bella, a questo punto sono già rassegnato a sentire una serie di luoghi comuni da convertite, anche se nulla in effetti può prepararmi alle loro storie.

“Tipo, io volevo un aumento di stipendio. E pregavo ogni giorno per averlo”

Scusa, un aumento di stipendio? Vuoi un aumento di stipendio e ogni giorno preghi per quello? E saresti Buddhista?!?

“Beh, non l’ho avuto, allora dopo molti mantra sono andata dal mio capo e gli ho detto, o mi dai un aumento o me ne vado! Cioé il mantra mi ha dato fiducia, e mi ha fatto concentrare su quello che volevo veramente”

“Hai avuto l’aumento?” chiedo educatamente.

“No, sono stata licenziata” dice secca “Ma poi ho trovato un altro lavoro dove mi pagavano di più. Cioé, funziona!”

Sono basito.

“Questa casa, io l’ho vista su internet e mi sono innamorata. Mi sono impuntata e alla fine la mia azienda me l’ha pagata, anche se l’affitto era più alto di altre”

Complimenti, vorrei dire, è proprio la residenza che ti definisce come individuo. E tutto grazie al Buddhismo! Dov’è che devo firmare?

Un’altra le viene in aiuto: “Io ho cominciato a recitare Namu Myoho Renge Kyo, e ho capito che il mio lavoro non era quello volevo. Quindi mi sono licenziata e ho deciso di unirmi per un anno a un circo itinerante. All’inizio i miei genitori non l’hanno presa bene, loro sono del Sud e molto cristiani, ma poi hanno capito che il Buddhismo mi faceva felice”

Vorrei sbattere la testa contro il muro, a sentirle parlare. Queste non capiscono nulla del Buddhismo, si stordiscono recitando il mantra ogni sera, si danno coraggio a vicenda al solo di fine di essere ribelli e fare quel cazzo che vogliono, in un modo decisamente punk, che di punk ha tutto tranne lo stile, che invece è quello dei figli dei fiori arricchiti. Brave, pregate il Buddha per arricchirvi ed essere più soddisfatte della vita materiale. Ma che dico Buddha, tutto il loro misticismo si racchiude in una filastrocca giapponese il cui senso “non è importante”!

C’è tensione, provo ad essere educato ma credo che il mio scetticismo crei scariche eletriche random attorno al mio corpo modello “nube tempestosa”. Mi invitano a tornare. Vorrei rispondere che sì, sarei molto felice di stordirmi con loro cantando Namu Myoho Renge Kyo, o Hare Krsna, o anche Sheena is a Punk Rocker, perché comunque siamo lì, il concetto di fondo è lo stesso.

Ce ne andiamo. I miei compagni non dicono nulla, anche se è lampante che non ci credono. Ma è come se avessero un briciolo di rispetto per queste persone un po’ pazze ma spirituali. Io le manderei a imparare dai contadini come il buon vecchio Mao faceva. Se questo è Buddhismo ragazzi, io domani fondo una nuova religione.

Che dire? Paese che vai, scoppiati che trovi, quasi sempre italiani.

Sing Hare Krsna and Be Happy… ah, no, ho sbagliato. Whatever.

4 commenti:

farro ha detto...

Beh, sul fatto che non sia importante il SIGNIFICATO del mantra, ma solo il fatto di recitarlo, sono d'accordo in molti, e anche io.
Però questa cosa della preghiera durante la recitazione (aumento di stipendio), invece, non mi torna.
Mi risulta piuttosto che un mantra serva a far concentrare la tua attenzione su "di se", cioè sul mantra stesso, in modo tale che questa si stacchi dalle tue nevrosi e smetta di alimentarle.

Il risultato è effettivamente che stai meglio.

A proposito dei tuoi commenti sull'accento del sud Italia, sembrano un filo razzisti, perdiana. Anzi, sembrano del tutto razzisti.

Fabio

Wild Child ha detto...

Non mi pare che nel Sud Italia siano di razze diverse dalla mia. E' invece vero che tante persone sono imprecise e facilone, ed è buona regola diffidare se non li si conosce. Non è razzismo, nemmeno sciovinismo, ma solo buon senso e conoscenza della loro cultura. Poi le eccezioni ci sono sempre, non è una buona ragione per non dare una possibilità a chiunque.

Anonimo ha detto...

Se si fosse trattato di accento bergamasco, o anche milanese, sarebbe stato lo stesso, ovviamente. E' che un forte accento regionale dà comunque una cattiva impressione. Quando poi è sottofondo di una quantità di minchiate che nemmeno dai preti ho mai sentito...
Non che uno non abbia il diritto di sentirsi meglio facendo così. Ognuno se la svanga, nella vita, come vuole e come può. Ma che almeno non salga in cattedra ad insegnare ad altri, per di più ignorandone il background, il "modo giusto" di vivere la vita e la spiritualità.
Kià

Wild Child ha detto...

Non cominciate a farmi parlare dei milanesi e dei bergamaschi!!! ;D