2007-02-11

Cena di Gala @ Green T. House Living


Ogni anno, a giugno, la Camera organizza una serata di gala per promuovere lo stile italiano con un aziende di automobili, moto, moda, illuminazione, arredamento e alimentari. Non posso non esserci: l’anno prima avevo partecipato, e anche quest’anno è per me un dovere morale essere lì, tra gli italiani che si sforzano di far conoscere la loro cultura ai cinesi e promuovere il nostro Paese all’estero.

E così, nel tardo pomeriggio di giugno, svesto i miei panni da hippy – scarpe da tennis, jeans vecchi di anni, una maglia rossa di quelle che portano i musulmani in India, e la borsa verde militare con la faccia di Mao sopra – e indosso il mio completo da gala – abito nero fatto fare su misura da un sarto di Shanghai, camicia bianchissima fatta stirare apposta dal lavandaio di fianco all’albergo il giorno stesso, scarpe di cuoio nero e cravatta monocroma in seta dorata. Già che ci sono mi sbarbo e mi metto il profumo. Ecco, sono una persona presentabile.

L’anno prima mi ero presentato alla gala sfrecciando tra macchine nere a bordo di una scassatissima e impolveratissima Xiali rossa. Quest’anno non posso, e siccome la location è quantomeno “fuori” e so che un tassista non ci arriverà mai senza indicazioni chiare, decido di aggregarmi al pulmino organizzato dalla Camera. Alle sette di sera sono io nel parcheggio della Full Tower, e una signora cinese vestita elegante: classica donna del Nord della Cina, un metro e settanta per ottanta chili, occhiali alla Jiang Zemin e un sorriso a 32 denti enormi.

“Non si vede nessuno, eh?” scherzo “Ma ci sarà poi questo pulmino?”

E’ così che scopro che è la referente del pulmino, che sta alle mie spalle con l’autista che ci dorme dentro. Un quarto d’ora più tardi siamo tutti a bordo, io e meno di una decina di altri passeggeri, tutti cinesi, tutti eleganti, tutti nervosismi. Mi rilasso sul sedile e lascio le strade di Pechino scorrere oltre il finestrino, fino all’arrivo nella Suburbia a ovest dell’aeroporto. L’autista si ferma in una strada di campagna stretta e polverosa, di fianco a noi un cancello di metallo e oltre degli operai che stanno costruendo qualcosa, con gran rumore e polverone. Incerti, seguiamo la responsabile in processione, fila indiana, tutti elegantissimi, per una strada sterrata e piena di polvere. Il cielo è scuro e promette pioggia.

Ma dove cazzo siamo finiti?

E poi arriviamo alla Green T. House Living, un ristorante visionario costruito sul modello di un siheyuan antico, muri bianchi e grandi vetrate trasparenti, con ghiaia bianca nel cortile. Fotografi, telecamere, receptionists che consegnano materiale promozionale e prendono gli inviti degli ospiti. Il tutto nel mezzo del nulla della periferia pechinese, con attorno solo campagna e cantieri.

La gala è elegantissima, ospita la crema della comunità italiana in Cina e un buon numero di VIP e giornalisti cinesi. Attacco bottone con uno che stava sul pulmino, un tizio che sta in un angolo a guardarsi attorno smarrito. Scopro che è un giornalista della TV di Pechino. Ci scambiamo il biglietto da visita e flash! Ecco la prima foto della serata. Seguono varie rappresentazioni, tra cui una sfilata di moda di intimo e una troupe di ballerini che promuove delle lampade di design con originali coreografie basate sulla luce.

E poi, finalmente, ci si siede a tavola. Vicino a me un gruppo di dipendenti italiani della FIAT, che non sanno fare altro che lamentarsi del “livello scadente” della serata. Classici italiani all’estero, che supplicano il mio aiuto non appena falliscono nel comunicare con i camerieri. Questi pensano di stare in Italia.

Il menù è eccezionale, grazie a tre chef e un sommelier arrivati direttamente dall’Italia. Nelle cucine, li ho visti maledire lo staff cinese in rigorosissimo italiano, perché l’inglese è un problema per loro. Ma che ci venite a fare all’estero?!? Lo chef americano del Peninsula, uno degli hotel più famosi della città, che si occupa del catering, solleva gli occhi al cielo e mi sussurra: “Those Italians, always like this. When they arrived I said “Let’s start” and they said “Mangiare, mangiare”. Then later “Let’s start” and they say “No, first we want to see the Great Wall”. Then a few hours before the dinner they go in the kitchen, and then it’s “Cazzo! Porca Troia” Porcoddio!”. Always like these, the Italians. Non faccio fatica a immaginare la scena. Ma grazie al cielo la cena è un successo.

Lo staff cinese, va detto, ha comunque le sue colpe. Il secondo vino servito è un Barbaresco Superiore di una bontà mai sentita. Lo centellino e me lo gusto piano piano, in estasi. E poi, appena mi allontano un secondo, tra una portata e l’altra, per salutare un amico, ecco che la cameriera sfreccia e mi riempie il bicchiere di nuovo… con del Barolo. “Nooooooo!!!” La cameriera pare smarrita. Lo so cosa pensa: il rosso è rosso, che differenza fa se l’etichetta sulla bottiglia è diversa? Vorrei rispondere che la differenza sono tre mesi del suo stipendio, e di nuovo immagino la scena nelle cucine, improvvisamente provando simpatia per gli chef italiani. Respiro profondamente e mi risiedo.

Finita la cena, ci si ritrova tutti ad ammirare lo splendore delle macchine italiane gustando gelato, cioccolato e caffè all’italiana. Senza più posti a sedere si chiacchiera più facilmente e faccio la conoscenza di tante persone. L’atmosfera è rilassata e tutti paiono contenti, chi soddisfatto della presentazione dei suoi prodotti, chi felice di aver gustato cibo e vino eccellenti, chi si è occupato dell’organizzazione e constata che non sono successi disastri. Tutti sorridono e le mani si stringono.

Mi unisco a un paio di colleghi che lavorano nel vino, e sopra un taxi ci muoviamo verso Sanlitun. La serata finisce così, a notte fonda, su un tavolo dell’Aperitivo, seduti a chiacchierare con Stefano, il proprietario, gustando uno spritz e slacciandosi la cravatta. Sul tavolo davanti a noi, il Segretario della Camera si è tolta i tacchi e appoggia le gambe in grembo a suo marito, sorridendo contenta.

“Bella serata, come sempre un successo” le dico.

Lei alza il bicchiere: “Salute!”

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