2007-02-26

Incontri durante un Giringiro

Una delle tante sere in cui si finisce in un ristorante a caso ci vengo invitato da un’amica. Il ristorante in questione è il Rio, brasiliano gestito da cinesi sulla Guijie (簋街). Per a cronaca, la Guijie, la “strada delle portate”, si estende dalla vecchia porta di Dongzhimen fino all’incrocio con la strada che da nord arriva dalla porta di Andingmen, entro i confini dell vecchia Pechino. E’ chiamata erroneamente “Ghost Street” da molti stranieri a causa dell’assonanza de carattere (gui, portata) con (gui, fantasma o demone, appunto), e la cosa viene giustificata dal fatto che la Guijie non chiude mai, è una via lunghissima costeggiata da ristoranti di ogni genere, tutti illuminati da insegne al neon per lo più rosse e lanterne a profusione, e a ogni ora del giorno o della notte chi ci passa viene assalito da “buttadentro” che cercano di indirizzare il flusso di persone verso il ristorante per cui lavorano. La Guijie è tradizionalmente un luogo per ristoranti cinesi, ma ai suoi estremi stanno aprendo anche altre cucine.

Nello specifico, davanti al Rio, due cinesi alti e dal capello lungo vestiti in quello che sembra un costume da Mr. Crocodile Dundee, ci invitano ad provare la cucina brasiliana: 59 kuai per un buffet di verdure, pezzi di carne arrosto distribuiti fino a chiusura e free flow di birra fino alle 11. Sembra proprio un affare.

Dei presenti conosco solo Luisa e un’altra ragazza italiana, che avevo incrociato alla cena di gala, peraltro senza che fosse nata da parte mia una gran simpatia. Ma al nostro tavolo siedono due nuovi personaggi di particolare rilievo che da lì in poi diventeranno miei grandi amici.

Il primo è Federico. Una parola, vulcanico. L’immagine della forma mentis “opportunità” contrapposta a quella “ostacolo”. Ogni cosa è per lui un invito a farsi coinvolgere e sviluppare come gruppo, si butta in tutto quello che stimola la sua curiosità, cioé quasi tutto quello che vede, sente o immagina. Insieme a un paio di amici ha creato un sto web, Stracina, con cui spera di creare un portale per gli italiani in Cina. Pensa in grande, e mi parla di tutti i suoi progetti, tavolta brillanti, talvolta donchisciotteschi, per creare una grandissima associazione che promuova tutto ciò che è buono e bello nell’universo conosciuto e sconosciuto. Mi confessa che il suo sogno è aprire una scuola in Africa. Pensa in grande, probabilmente troppo in grande, ma probabilmente il mondo avrebbe bisogno di più persone così.

L’altro personaggio è Joe; o meglio, Zhou, che si pronuncia uguale. Joe viene da Shanghai, e inspiegabilmente condivide tutte le mie opinioni sulla sua città natale. Vive a Pechino da 8 anni ormai, e ci si trova davvero bene. Lavora alla redazione cinese dell’Economist, a cui contribuisce spesso e volentieri, e nel tempo libero scrive poesie, organizza spettacoli, traduce libri. Sì, perché Joe, oltre a parlare mandarino, shanghainese e un inglese perfetto, mastica non troppo male una varietà di altre lingue tra cui l’ebraico, impossibilmente studiato proprio a Shanghai. E’ uno degli organizzatori di una serata di poesia che si tiene il mercoledì al Bookworm, e le sue poesie sono in effetti scritte in inglese. A vederlo Joe sembra davvero un super-Nerd, con il taglio di capelli da ingegnere, pelle pallida, polo rossa, jeans senza forma, timberland vecchie e consunte e occhialoni quadrati. E invece guarda un po’: parla di politica nazionale e internazionale, poesia, storia, linguistica senza mai trovarsi in imbarazzo. L’immagine del cinese uscito vivo dalle migliori scuole del Paese e del mondo: segnato fisicamente dagli anni di studio, memoria di ferro, acume da paura, e una capacità di pensiero indipendente da far invidia a un rivoluzionario.

I nostri discorsi inevitabilmente virano verso l’intellettuale, e grazie alla birra, mentre noi ci spingiamo verso vette d’astrazione eccelsa e collegameti improbabili tra argomenti, le ragazze cominciano a parlare di argomenti più leggeri i disparte. Non so come, da Umberto Eco si finisce a parlar di donne. E’ sempre così, maledetti intellettuali frustrati. Racconto del mio incontro con Dandan, e del fatto che nonostante nulla sia successo, da quando ho lasciato Chengdu io e lei ci sentiamo tutti i giorni. Joe mi fa i migliori auguri per la mia storia, e racconta della sua uscita con un cantante lirica che vorrebe studiare in Italia. Si tira tardi. Poi quando l’ennesimo boccale di birra è finito e Mr. Crocodile Dundee non ce lo riempie più, paghiamo i nostri 59 kuai e si saluta. Baci, abbracci, promesse di eterna amicizia.

E’ anche per questo che amo Pechino. Intellettuali idealisti di questo spessore non li si trova tanto facimente altrove.

2007-02-22

Sereno Vagabondare

L’Alameda ha vinto un sacco di premi come uno dei ristoranti più di successo della città, e per il suo anniversario organizza una grande festa al Nali Mall. Siccome il ristorante è famoso, e soprattutto siccome la festa è gratuita con stuzzichini, dolci, birra e vino gratis, il Nali si trasforma in un groviglio di folla, per lo più ragazzi della mia età che brindano e gridano per sovrastare la musica, e tutti i locali del minimall si aggregano. C’è Vivi che sorride ancora più del solito, c’è Carlos con un suo amico spagnolo che si è portato dietro due ragazze cinesi e le bacia a turno piazzando generose manate sul culo di entrambe, ubriaco marcio. C’è Sasha che come sempre sorride e sta zitto, al massimo fuma una sigaretta e beve un bicchiere di vino. Alex sta seduta a un tavolo del Kiosk a chiacchierare tranquillamente con Patti e altre amiche, apparentemente non toccata, nel suo aplombe britannico, dal clima da sagra. Irene mi raggiunge in ritardo, come suo solito, e rimane stupita nel vedere la situazione del Nali, solitamente così tranquillo. Saranno le sei, forse le sette, e il tasso alcolico è già alto, i bicchieri rotti si moltiplicano. Un signore esce a fatica con la calca, il bicchiere di vino vuoto tra le mani, e lo poge a Sasha:

“Ecco lo do a te, sono riuscito miracolosamente a salvarlo nella folla che mi spingeva” dice.

Sasha sorride, prende il bicchiere, va in un angolo, e con grazia la frantuma contro il muro.

“Salute!!!” grida, tra gli applausi degli astanti.

Io e Irene abbiamo fame. Agguantiamo due bicchieri di vino bianco e discretamente ci dirigiamo verso la Sanlitun Bei, verso lo spiedinaro. “I bicchieri li riportiamo tra un po’ ” dico a Sasha. Non credo che comunque l’informazione gli interessi. E’ una strana scena quella mia e di Irene all’angolo dell’Aperitivo, nel sole del tramonto, che addentiamo yangrouchuan’r nella destra, e nella sinistra reggiamo un elegante calice di bianco. Paghiamo entrambi in banconote da 5 mao stropicciate, roba che neanche i mendicanti ormai fanno più. Brindiamo ridendo, mentre il xinjianese ci guarda sospettoso.

Già che ci siamo decidiamo di fare un salto su al Top Bar, per fare un saluto a Jason, che come sempre sta progettando party improbabili. Il motivo principale è in realtà la voce incontrollata che dà per certa una grigliata gratuita; purtroppo il pettegolezzo si rivela infondato, così ci sediamo sul terrazzo, e notiamo come la sua idea di “festa di Sanlitun” sia una versione della festa dell’Alameda al Nali una decina di volte più grande, ed effettivamente concordiamo sulle potenziali conseguenze disastrose dell’evento per la pavimentaione stradale e l’arredo urbano.

Il sole è ormai tramontato quando torniamo al Nali a restituire i bicchieri ormai vuoti da un bel po’. La gente si è diradata, l’alcol ha cominciato a pesare sul corpo di molti, altri semplicemente si sono diretti dove possono trovarne altro da ingerire. Noi abbiamo fissato un appuntamento a cena con altri amici italiani; i yangrouchuan’r non erano abbastanza, serve altra carne, forse andremo a un ristorante brasiliano.

Le serate d’estate a Pechino sono così, un vagabondare sereno e casuale, un insieme di incontri fortuiti o meno in un luoghi conosciuti o anche nuovi. Quel che conta è il non programmare, l’abbandonarsi a un flusso di eventi generato dalla fantasia di chi passa di lì. Nulla di male può accadere.

Ci si infila in un taxi, si ringhia il nome di una strada dove non si è mai stati, e ci si rilassa sullo schienale...

2007-02-11

Cena di Gala @ Green T. House Living


Ogni anno, a giugno, la Camera organizza una serata di gala per promuovere lo stile italiano con un aziende di automobili, moto, moda, illuminazione, arredamento e alimentari. Non posso non esserci: l’anno prima avevo partecipato, e anche quest’anno è per me un dovere morale essere lì, tra gli italiani che si sforzano di far conoscere la loro cultura ai cinesi e promuovere il nostro Paese all’estero.

E così, nel tardo pomeriggio di giugno, svesto i miei panni da hippy – scarpe da tennis, jeans vecchi di anni, una maglia rossa di quelle che portano i musulmani in India, e la borsa verde militare con la faccia di Mao sopra – e indosso il mio completo da gala – abito nero fatto fare su misura da un sarto di Shanghai, camicia bianchissima fatta stirare apposta dal lavandaio di fianco all’albergo il giorno stesso, scarpe di cuoio nero e cravatta monocroma in seta dorata. Già che ci sono mi sbarbo e mi metto il profumo. Ecco, sono una persona presentabile.

L’anno prima mi ero presentato alla gala sfrecciando tra macchine nere a bordo di una scassatissima e impolveratissima Xiali rossa. Quest’anno non posso, e siccome la location è quantomeno “fuori” e so che un tassista non ci arriverà mai senza indicazioni chiare, decido di aggregarmi al pulmino organizzato dalla Camera. Alle sette di sera sono io nel parcheggio della Full Tower, e una signora cinese vestita elegante: classica donna del Nord della Cina, un metro e settanta per ottanta chili, occhiali alla Jiang Zemin e un sorriso a 32 denti enormi.

“Non si vede nessuno, eh?” scherzo “Ma ci sarà poi questo pulmino?”

E’ così che scopro che è la referente del pulmino, che sta alle mie spalle con l’autista che ci dorme dentro. Un quarto d’ora più tardi siamo tutti a bordo, io e meno di una decina di altri passeggeri, tutti cinesi, tutti eleganti, tutti nervosismi. Mi rilasso sul sedile e lascio le strade di Pechino scorrere oltre il finestrino, fino all’arrivo nella Suburbia a ovest dell’aeroporto. L’autista si ferma in una strada di campagna stretta e polverosa, di fianco a noi un cancello di metallo e oltre degli operai che stanno costruendo qualcosa, con gran rumore e polverone. Incerti, seguiamo la responsabile in processione, fila indiana, tutti elegantissimi, per una strada sterrata e piena di polvere. Il cielo è scuro e promette pioggia.

Ma dove cazzo siamo finiti?

E poi arriviamo alla Green T. House Living, un ristorante visionario costruito sul modello di un siheyuan antico, muri bianchi e grandi vetrate trasparenti, con ghiaia bianca nel cortile. Fotografi, telecamere, receptionists che consegnano materiale promozionale e prendono gli inviti degli ospiti. Il tutto nel mezzo del nulla della periferia pechinese, con attorno solo campagna e cantieri.

La gala è elegantissima, ospita la crema della comunità italiana in Cina e un buon numero di VIP e giornalisti cinesi. Attacco bottone con uno che stava sul pulmino, un tizio che sta in un angolo a guardarsi attorno smarrito. Scopro che è un giornalista della TV di Pechino. Ci scambiamo il biglietto da visita e flash! Ecco la prima foto della serata. Seguono varie rappresentazioni, tra cui una sfilata di moda di intimo e una troupe di ballerini che promuove delle lampade di design con originali coreografie basate sulla luce.

E poi, finalmente, ci si siede a tavola. Vicino a me un gruppo di dipendenti italiani della FIAT, che non sanno fare altro che lamentarsi del “livello scadente” della serata. Classici italiani all’estero, che supplicano il mio aiuto non appena falliscono nel comunicare con i camerieri. Questi pensano di stare in Italia.

Il menù è eccezionale, grazie a tre chef e un sommelier arrivati direttamente dall’Italia. Nelle cucine, li ho visti maledire lo staff cinese in rigorosissimo italiano, perché l’inglese è un problema per loro. Ma che ci venite a fare all’estero?!? Lo chef americano del Peninsula, uno degli hotel più famosi della città, che si occupa del catering, solleva gli occhi al cielo e mi sussurra: “Those Italians, always like this. When they arrived I said “Let’s start” and they said “Mangiare, mangiare”. Then later “Let’s start” and they say “No, first we want to see the Great Wall”. Then a few hours before the dinner they go in the kitchen, and then it’s “Cazzo! Porca Troia” Porcoddio!”. Always like these, the Italians. Non faccio fatica a immaginare la scena. Ma grazie al cielo la cena è un successo.

Lo staff cinese, va detto, ha comunque le sue colpe. Il secondo vino servito è un Barbaresco Superiore di una bontà mai sentita. Lo centellino e me lo gusto piano piano, in estasi. E poi, appena mi allontano un secondo, tra una portata e l’altra, per salutare un amico, ecco che la cameriera sfreccia e mi riempie il bicchiere di nuovo… con del Barolo. “Nooooooo!!!” La cameriera pare smarrita. Lo so cosa pensa: il rosso è rosso, che differenza fa se l’etichetta sulla bottiglia è diversa? Vorrei rispondere che la differenza sono tre mesi del suo stipendio, e di nuovo immagino la scena nelle cucine, improvvisamente provando simpatia per gli chef italiani. Respiro profondamente e mi risiedo.

Finita la cena, ci si ritrova tutti ad ammirare lo splendore delle macchine italiane gustando gelato, cioccolato e caffè all’italiana. Senza più posti a sedere si chiacchiera più facilmente e faccio la conoscenza di tante persone. L’atmosfera è rilassata e tutti paiono contenti, chi soddisfatto della presentazione dei suoi prodotti, chi felice di aver gustato cibo e vino eccellenti, chi si è occupato dell’organizzazione e constata che non sono successi disastri. Tutti sorridono e le mani si stringono.

Mi unisco a un paio di colleghi che lavorano nel vino, e sopra un taxi ci muoviamo verso Sanlitun. La serata finisce così, a notte fonda, su un tavolo dell’Aperitivo, seduti a chiacchierare con Stefano, il proprietario, gustando uno spritz e slacciandosi la cravatta. Sul tavolo davanti a noi, il Segretario della Camera si è tolta i tacchi e appoggia le gambe in grembo a suo marito, sorridendo contenta.

“Bella serata, come sempre un successo” le dico.

Lei alza il bicchiere: “Salute!”