2009-07-12

Violenza

E' un qualunque pomeriggio invernale, e sto camminando su Nan Luogu Xiang insieme a Nathalie, la mia nuova assistente. Abbiamo appena visitato un cliente, e ci stiamo avviando verso l'ufficio, quando uno strano rumore attrae la mia attenzione: “thud”.

E' uno strano rumore, un rumore che ammetto di non aver mai sentito prima, e sarà per quello che la mia reazione è lenta. Il sopracitato thud è il rumore che fanno le nocche di un pugno di un tamarro contro la faccia di una ayi. Ce ne sono tre di tamarri, a dire la verità: uno ha i capelli leccati all'insù con una punta verso la sommità posteriore, tipo Oliver Hatton per intenderci, e la faccia butterata dai brufoli; un altro ha i capelli uguali, ma è grasso e indossa una giacca nera con dei glitters; e infine uno basso, con la maglietta attillata a righe diagonali bianche e blu, i capelli tinti di biondo e stirati a mezzafrangia sulla fronte. Praticamente, i tirapiedi picchiosi dei cattivi di Lupin. Sono tutti e tre ubriachi marci, e saranno le quattro del pomeriggio. Il biondo è quello più fuori di tutti, sta a fatica in piedi, a sta urlando un fiume di insulti da far rabbrividire verso una ayi del cesso pubblico, da cui sono appena sbucati. Gli altri due cercano di trattenerlo a turno, con la faccia divertita e scarsa convinzione.

L'ayi, classica nongmin (农民, abitante delle campagne) di età indefinibile tra i 35 e i 55, pelle scura, tuta blu da proletaria, sta prostrata per terra, con un occhio nero che si sta gonfiando e del sangue che le esce dal lato della bocca. Evidentemente dev'essere scoppiato un alterco mentre i tre erano al bagno pubblico, forse lei si è lamentata del casino che facevano, e a un tratto il tamarro biondo ha cominciato a picchiarla selvaggiamente. Lei è uscita, lui l'ha seguita, i suoi compari dietro, ed è cominciata la tragedia greca alla cinese. L'ayi piange per terra, il biondo sacramenta, gli altri due lo trattengono ridacchiando. Nei due-tre secondi che mi ci sono voluti ad assorbire queste informazioni e comprenderle in quanto realtà e non cartone animato o film sulla cultura alternativa tipo Arancia Meccanica o Trainspotting, si è accalcata una piccola folla di Cinesi che, facce di cera, osserva la scena come alla televisione, senza dimostrare di aver fatto il mio stesso salto logico. Ma quel che è peggio, Nathalie si è lanciata nel mezzo della scena a braccia aperte, urlando ai tamarri di togliersi di mezzo e lasciar stare la povera ayi indifesa. Oh cazzo.

Prima che il tamarro biondo, con i riflessi rallentati dall'alcol, si avventi sulla mia assistente, intervengo io. Sarà che sono alto mezza spanna più del più grosso di loro, sarà che sono straniero, i due tamarri più sobri si fanno immediatamente più cauti, mentre il terzo fa un paio di passi indietro, continua a urlare i suoi insulti, prova un paio di volte a girarmi attorno senza successo, ma in generale non da' assolutamente a vedere di avermi notato. In effetti non incrocia lo sguardo, non mi si rivolge, e a tutti gli effetti agisce come se non esistessi, senonché sta ben attento a mantenere due-tre metri tra me e lui.

L'ayi nel frattempo non da' segno di volersi spostare, e comincio a capire, nel suo farfugliare di bocca rotta e tuhua (lingua contadina, ovvero una forma semplificata di cinese mandarino) che sta pretendendo dei soldi dai tre tamarri per andare all'ospedale e farsi aggiustare. Superfluo riportare la risposta dei tre alla richiesta. Sta di fatto che, nonostante l'insistenza di Nathalie, la donna non si vuole alzare, fa peso morto e continua a gemere chiedendo una compensazione. La situazione è in stallo, ma prima che i tamarri agiscano perdo la pazienza e prendo in mano la situazione, urlando a Nathalie e all'ayi di levarsi dai coglioni e camminare verso la fine della strada. Solleviamo la donna a forza e la portiamo via, con i tamarri che ci seguono per qualche decina di metri, sempre gridando ignominie ma a debita distanza. La folla di cinesi si apre, attenta a non interagire con la scena, qualche straniero si è fermato a guardare commentando stranito, noi tiriamo la donna avanti e la facciamo entrare in un ristorante di jiaozi dove chiediamo gentilmente alla laoban di permettere all'ayi di darsi una lavata alla faccia e riprendersi un po'. Nathalie si mantiene vicino alla donna, cercando di calmarla e confortarla, dicendole che non vale la pena mettersi a litigare con gente così, che non otterrebbe nulla se non altre botte. Io ringrazio la laoban per l'ospitalità, prendo Nathalie, e le dico di andare, prima che i tamarri tornino, magari con i rinforzi. Fuori c'è ancora la folla di cinesi che, attraverso i vetri del ristorante, non hanno mai smesso di guardare la TV. E poi succede una cosa strana.

Nel giro di pochi attimi, la laoban prende l'ayi, senza alcuno scrupolo la sbatte fuori dal suo ristorante e si chiude la porta dietro, e l'ayi tenta di rintracciare i tre tamarri, chiede alla folla dove sono finiti (ovviamente senza risposta – non si risponde alle domande della TV) e, incapace di trovarli, comincia ad inseguire me e Nathalie, urlando che è tutta una cospirazione, che è colpa nostra se adesso lei non ha i soldi per l'ospedale, che glieli dobbiamo dare noi. La folla ci guarda, attendendo una drammatica risposta. Alzo la mano, fermo un taxi, butto dentro Nathalie, monto e chiudo la portiera. “Via di qui, presto” dico all'autista.

Mentre il Beijing Taxi ci porta lontano da questa scena surreale, nella mia testa frullano mille domande. Perché i Cinesi tengono il massimo distacco da queste scene, perché ciascuno sta a guardare ma si fa i fatti propri, non cieco e sordo ai fatti altrui, palesemente consapevole ma massimamente distaccato? E' una situazione che sfida ogni modello comportamentale della mia civiltà – per me o ci si fa i fatti propri, fingendo di non sapere, oppure si è coinvolti. Qui no: si può curiosare spudoratamente nella vita altrui e tranquillamente fregarsene, tenendosi al di fuori senza la minima colpa o vergogna. Anche Nathalie, Cinese pure lei sebbene di padre europeo, è scioccata dal comportamento delle persone: nessuno che abbia fatto qualcosa, detto una parola, nemmeno abbozzato un'espressione di sdegno. Spettatori davanti al varietà.

E' Dandan, la sera stessa, a illuminarmi con il suo punto di vista. Per i Cinesi, ingiustizie come queste ne capitano tutti i momenti, e vale la pena di pensare alle proprie piuttosto che a quelle degli altri. Del resto, come ho visto, la riconoscenza non è una virtù comune, da queste parti: la pragmaticità, in questo caso cercare di ottenere qualche soldo in più, prevale. Quando ci sono di mezzo i contadini, i nongmin, poi, è come aver a che fare con degli alieni – non c'è rispetto, non c'è dignità, non c'è fiducia davanti alla gente di città, gente ricca che li sfrutta e basta, figurarsi per i laowai. Per quel che li riguarda, non siamo neanche della stessa razza umana.

Non posso impedirmi di pensare a una frase, tratta da Sette Samurai di Kurosawa. Toshiro Mifune, grandissimo nella sua interpretazione di Kikuchiyo che, quando viene ritrovato un bottino di armi nel villaggio dei contadini che i samurai volevano difendere, nel silenzio generale improvvisamente scoppia a ridere come un isterico:

Heh, guarda che bellezza! Haha! Che pensavate che fossero questi contadini? Buddha o simili? Non fatemi ridere! Non c'è creatura al mondo più volitiva di un contadino! Chiedetegli riso, orzo, qualunque cosa, e tutto quello che hanno sempre da dire è “Non ne abbiamo più”. Ma ne hanno, ne hanno di tutto. Scavate sotto le assi del pavimento; se non ce n'è lì, provate nel granaio: ne troverete in quantità. Vasi di riso, sale, fagioli, sake. Haha! Hahaha! Andate su per i monti: hanno campi nascosti. Si inginocchiano, strisciano e mentono, facendo gli innocenti tutto il tempo. Qualunque cosa vogliate, sono pronti a fregarvi anche su quello! Dopo le battaglie, danno la caccia agli sconfitti con le loro lance. Datemi retta! I contadini sono avari, canaglie e piagnoni! Sono cattivi, stupidi, assassini! Che il Diavolo se li porti! Potrei ridere fino alle lacrime!
Ma ditemi questo: chi li ha resi i mostri che sono? Voi l'avete fatto, voi samurai, che il Diavolo porti anche voi! In guerra, bruciate i loro villaggi, calpestate i loro campi, rubate il loro cibo, li fate lavorare come schiavi, violentate le loro donne e, quando provano a resistervi, li ammazzate. Che vi aspettate che facciano? Che Diavolo dovrebbero fare i contadini secondo voi? Maledizione, maledizione!” 

Ancora una volta, la divisione di questo Paese, tra noi che stiamo nelle città, e gli altri novecento milioni di nongmin, umani come noi eppure più diversi ed ostili dei cani, mi riempie l'anima con il suo immenso vuoto.