Un bel giorno d'inizio inverno leggo sul That's Beijing una recensione su un ristorante che serve carne d'asino. Ora, la superstizione per cui i cinesi mangiano di tutto non è vera. O meglio, si riferisce ai Cantonesi, ma qui a Pechino la gente è relativamente conservatrice nella carne che mangia: agnello (yangrou), pollo (jirou), anatra (yarou), maiale (zhurou) e manzo (niurou) costituiscono la stragrande maggioranza della carne consumata normalmente. Oca (erou), coniglio (tuzirou), cane (gourou), cammello (luorou) sono considerate carni particolari, prodotti che appartengono ad altre cucine che, sì, si possono assaggiare, ma sono fondamentalmente esotiche. Cavallo (marou), non sia mai! Solo dei barbari possono mangiare cavallo! Cacciagione non se ne trova, perché pare sia vietata, anche se in certi ristoranti cantonesi fa capolino ogni tanto qualche labbro di cervo (lurou) di dubbia provenienza.
L'asino: lürou. Non ci avevo mai pensato. Nemmeno i Pechinesi, credo: l'asino è una carne che si consuma tradizionalmente nello Hebei, e qualche immigrato da quella regione ha avuto la bella idea di aprire un ristorante. Perché no?
Raccolgo Dandan e la sua amica Ting, e ci diamo appuntamento davanti al ristorante recensito, Wang Pangzi (王胖子), ovvero “Ciccio Wang”, che dev'essere il laoban. Il posto, sulla Gulou Xi Dajie, ha l'aspetto di un qualunque ristorante da strada cinese, di quelli luridi ma buoni, buoni ma luridi. L'insegna è un po' cadente, i tubi al neon dentro danno una luce fredda. Non invita ad entrare, e se uno ci passasse davanti non lo noterebbe tra le altri migliaia di ristoranti pressoché uguali di Pechino. Fuori tira un vento gelido come solo a Pechino può tirare, e quindi ci decidiamo ad entrare.
Dentro è ancora peggio che da fuori: pareti verdi chiaro, che potrebbero dare un'aria simpatica non fosse per la luce gelida dei neon, pavimento zozzo che più non si può, sei tavoli in 8 metri quadrati, gente che si abbuffa, beve, fa rumore, fa cascare i tovaglioli e il cibo per terra. Due cameriere di 15-16 anni, tarchiate come le ragazze dello Hebei, modi da scaricatore di porto, urlano più forte dei clienti. Dall'altra parte della stanza ci arriva il saluto: “吃什么呀? Che mangiate?”. Ci sediamo all'unico tavolo libero, sugli sgabellini standard in plastica colorata e metallo dei posti di questo tipo. Il menù è scritto sul muro, su un cartellone bianco cui sono incollati caratteri e numeri cubitali rossi. Tre piatti di base: brodo d'asino, carne d'asino e huoshao, che poi è il cavallo di battaglia del luogo. Gli huoshao (火烧) sono essenzialmente dei panini fritti, tagliati su un lato, che in questo caso vengono imbottiti con un trito di carne d'asino prima bollita e poi grattugiata stile döner kebab e saltata su una piastra, peperoncini verdi e coriandolo. Piatti d'accompagnamento sono una serie di frattaglie d'asino, sempre bollite e servite fredde o calde. Verdura fuori menù, secondo disponibilità. Ci chiediamo quanti ne bastino a testa per esser sazi, e guardiamo cinque uomini accanto a noi che si rimpinzano di huoshao come maiali. Ed ecco che, nell'allegra socialità del ristorante cinese-buco, fa capolino dalla mia spalla l'avventore seduto dietro di me, ossia un tizio di mezza età con i capelli leccati attorno al cranio e fondi di bottiglia tipo ragionier Filini. Ci deve aver letto nella mente perché dichiara “Gli huoshao sono piccoli, ce ne vogliono almeno tre a persona”.
Visto che hanno un aspetto abbastanza pesante, decidiamo di ordinarne solo due a testa, più brodo cadauno e un piatto di verdure della casa che si rivela essere dell'insalata cotta con peperoncino e aceto. Gli huoshao sono fenomenali: croccanti nella pasta, unti ma non troppo, con la carne d'asino che ha assorbito tutti i sapori del bollito e il peperoncino verde che aggiunge una punta di piccante, per nulla eccessivo. Il brodo è perfetto, scalda che è un piacere, e si accompagna con abbondante coriandolo e pezzi di carne all'interno. Niente grasso, la carne d'asino è assolutamente magra. Il tutto è così buono che ordiniamo un altro giro, per la felicità del nostro vicino occhialuto che continua ad osservarci.
Sul muro opposto al menù c'è un altro cartellone, che a caratteri cubitali rossi (questi stampati) su uno sfondo della prateria, illustra la storia della carne d'asino, con dovizia di citazioni letterarie di poeti di svariate dinastie. Quella che noto è “天上龙肉,天下驴肉”: “Quello che in Cielo è la carne di drago, in Terra è la carne d'asino”, ovvero buona, raffinata, energizzante e salutare. Dandan non manca di osservare infatti che dopo un pasto così il freddo non si sente più, e Ting annuisce. Chiediamo il conto, e Ting scherza sul fatto che alla fine spenderà meno per mangiare che per il taxi: da Fuli Cheng, dove abita, a qui sono 32 kuai di taxi. Il conto arriva: 31 kuai, ma in tre.
Ce la ridiamo, uscendo nel buio della strada. E' come avevano previsto Dandan e Ting: il vento tira come prima, ma non sentiamo freddo. Con questo calore in corpo, ci avviamo verso il Gulou, dove con abbondante birra disinfetteremo qualunque ospite sgradito nei nostri stomaci. Siamo temerari ma non stupidi, dopotutto. Per questa sera, grazie Ciccio Wang di averci introdotto a questa nuova meraviglia culinaria che sono i lürou huoshao.
1 commento:
Complimenti! bel coraggio a mangiare malgrado l'aspetto circostante. Io amo provare di tutto, ma spesso vengo bloccato dall'aspetto igienico. Vi invidio.
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