Le vacanze di ottobre si avvicinano e io sono ben deciso ad evitare l'errore dell'ultimo Chunjie, quando sulla cima del monte Emei in Sichuan, a 3000m, avevo trovato la stessa gente che al mercato di Panjiayuan la domenica mattina: mai più viaggi in Cina in periodo di ferie nazionale. E' un periodo che in generale la Cina mi da' ai nervi – sarà il fatto che mi sono fatto tutta l'estate in ufficio a lavorare come uno schiavo, sarà il lavoro disorganizzato, saranno le crescenti restrizioni e paranoie per le Olimpiadi imminenti e in particolare i problemi di visto – e non vedo l'ora di andare in un posto dove mi possa dimenticare, per qualche giorno, della Cina. Decido quindi di andare da qualche parte in Asia meridionale: perché quindi non mostrare a Dandan l'India, una terra e una cultura che tanto mi affascinano? L'idea non la eccita per nulla: tutti i cinesi apparentemente hanno un'opinione pessima dell'India, fondata su una serie di luoghi comuni estremamente diffusi, quali:
a) l'India è sporca
b) l'India è pericolosa
c) l'India è povera
d) in India conviene portarsi una serie infinita di medicine perché è facilissimo prendersi una qualunque rogna dall'acqua, dal cibo o semplicemente da quello che si tocca. E' anche opportuno lavarsi le mani continuamente, non bere mai acqua se non da bottiglie chiuse e per carità quando ci si lavano i denti mai ingoiare per sbaglio mezzo sorso d'acqua.
e) in India è meglio andare con viaggi organizzati perché non è attrezzata per il turismo moderno e internazionale, e sai mai dove vai a finire.
Quando faccio notare a Dandan che questi sono esattamente le stesse cose che gli europei dicono sulla Cina (e non sempre a torto), si offende. Comunque, dopo lunghe discussioni la mia lei accetta il mio punto di vista e acconsente. India sia, dunque.
Per andare a fare un viaggio all'estero servono principalmente due cose: un biglietto aereo ed un visto. Il biglietto aereo si presenta subito – sorpresa delle sorprese – come un problema: infatti tra Cina ed India non corrono buoni rapporti praticamente da sempre, e quindi mentre ci sono voli a go go per ogni altra destinazione asiatica, voli diretti da Pechino per l'India sono rarissimi, estremamente costosi, e raggiungono solo le principali città (Delhi, Bombay e Calcutta). A questo va aggiunto che le agenzie cinesi non sono in grado di acquistare biglietti per voli interni all'India, per cui quelli andranno presi localmente. L'offerta migliore che troviamo è un Pechino-Madras via Bangkok con Thai Airlines, ma costa un occhio della testa.
Nel frattempo proviamo a fare il visto (tanto per cambiare): ora, le Ambasciate indiane nel mondo, come ogni branca dell'amministrazione pubblica indiana, sono un delirio di disorganizzazione e indisponenza, roba che a confronto una qualsiasi ufficio statale di Napoli fa bella figura. L'ufficio visti apre nei giorni lavorativi dalle 9 alle 11.30, obbligando le persone ad accodarsi fuori ed entrando finché c'è posto – quando finisce, tutti quelli rimasti fuori tornano a casa, e che si presentino prima la prossima volta. L'impiegato (ce n'è solamente uno che non parla cinese) sta nello sgabbiozzo della guardia, che in quel momento viene adibito a ufficio visti, mentre la guardia (che non parla inglese) viene messa al cancello a bloccare l'entrata e far fronte alla folla. Nel mentre nel giardino una quantità di altri impiegati passeggiano facendo nulla.
L'attesa per me, che sono arrivato poco prima delle nove, dura circa un'ora e mezzo. Entrano due persone alla volta. L'impiegato riceve urlando incazzatissimo: conviene avere i documenti richiesti in ordine e una penna per correggerli se serve (loro non forniscono penne). Se i documenti sono OK ci vogliono 10-15 minuti (il che significa che l'ufficio esaurisce 10-15 richieste al giorno, a fronte delle 20-30 persone in coda). Se manca qualcosa si viene mandati via senza spiegazioni: la lista dei documenti è sul sito web, e se qualcosa non è chiaro pazienza, non vengono offerte spiegazioni perché nessuno risponde al telefono.
Il visto per me è relativamente semplice, ma quello per Dandan richiede deposito bancario di 10.000 RMB, a garanzia che il viaggiatore cinese ritorni in patria (Quale cinese scapperebbe in India, dove si vive ancora più poveramente che in Cina? Chiederete voi. Non preoccupatevi, di questo avremo modo di parlare in futuro). Mi tocca tornare due volte, e alla fine, dopo aver litigato un po' con l'impiegato e la guardia, riesco ad ottenere i benedetti visti.
Nel frattempo, mentre ero in coda, era passato un cinese che distribuiva volantini di un'agenzia viaggi, con prezzi strepitosi. Faccio chiamare Dandan, che ottiene voli a prezzi stracciatissimi: Pechino – Bangalore con scalo a Hongkong, poco più di 6.000 RMB andata e ritorno. Li prendiamo subito: l'agenzia conferma la prenotazione. E' fatta.
Tutti felici, ci organizziamo preparando guide turistiche, creme solari e pacchi di medicine inviate dalla madre di Dandan. Mancano due settimane, le ferie sono state concesse dalle nostre aziende, e quindi chiamiamo l'agenzia: domani paghiamo i biglietti. “Hao de, hao de, mei wenti”. Il giorno seguente preleviamo i soldi e chiamiamo l'agenzia: venite a consegnarci i biglietti e paghiamo in contanti. “Ahhhh... shao deng yixia.... aspetti un momento... no, i biglietti sono stati venduti”.
“Ma noi li avevamo prenotati” protestiamo.
“Ma non li avete pagati” fa l'agenzia.
“Sì, ma dovevamo pagarli oggi, e ieri sera avevate confermato”
“Ah, veramente? Be', mi spiace, qui sul terminale la prenotazione è scaduta, i biglietti sono stati già venduti e non ce ne sono altri disponibili”.
La mia insofferenza per la Cina raggiunge quindi il limite. Dandan sarebbe anche disposta a rinunciare, ma la rabbia mia è troppa. In meno di 24 ore, chiamando una decina di agenzie, troviamo altri due biglietti, 8.000 RMB e passa, rotta Pechino-Shanghai-Delhi-Bangalore. Un furto e un viaggio della speranza. Ma non m'importa: l'unico obiettivo, al momento, è quello di levarmi di torno la Cina. La sera del giorno dopo andiamo in questo ufficio sperduto in un caseggiato nei pressi di Sanyuan Qiao, paghiamo cash e ci portiamo via il “carnet” di biglietti aerei. India, stiamo arrivando.