Quando la primavera arriva, e si vive in uno xiaoqu, e per di più vicino agli hutong, è un piacere cenare presto e, mentre non è ancora completamente buio, scendere in strada e fare una passeggiata. Non ci sono luci al neon intermittenti e invasive, né la puzza e il rumore delle auto, solo altra gente che tranquillamente si gode la brezza della sera, che porta i profumi dei gelsomini e della acacie in fiore.
Di solito quando passeggio mi piace prendere un gelato, ma qui un po’ per la pancia che avanza, un po’ perché i gelati cinesi sono stradolci e pieni di coloranti chimicissimi, preferisco andare sul ghacciolo.
Il ghiacciolo! Ricordi di bambino, quando si giocava nel cortile dietro al tabaccaio che li vendeva, o all’oratorio d’estate, quando non c’era nulla da fare e stare all’ombra gustando qualcosa di freddo era la cosa migliore che potesse capitare. Ricordo che i ghiaccioli non costavano nulla, e ce n’era di ogni gusto: arancio, limone, menta, cola, fragola, persino l’anice, tutti meravigliosi. Ma in Cina no.
La differenza fondamentale tra un ghiacciolo e un gelato è che il primo è costituito essenzialmente da acqua ghiacciata mista a uno sciroppo dolce; il secondo ha una sostanziosa aggiunta di latte, che lo rende appunto cremoso. Noi italiani lo sappiamo bene, data la nostra famosa tradizione in merito. Anche i cinesi distinguono le due cose con due parole diverse: il ghiacciolo è il bingbang (冰棒) e il gelato bingqilin (冰淇淋). Solo, per qualche curioso equivoco, il ghiacciolo in Cina contiene tipicamente latte.
“Vorrei un ghiacciolo, che gusti avete?”
“Latte”
“... e poi?”
“Mirtillo e latte”
“C’è qualcosa senza latte?”
Sì, il ghiacciolo al limone e arancio. Che sa di latte. Che poi è il latte cinese iperchimico, che te lo spiego. Ma per i cinesi il latte è una novità sana che fa bene alle ossa, e con questa scusa le aziende di ghiaccioli ce lo mettono un po’ dappertutto, anche solo come profumo o sapore.
Con il supporto linguistico di Dandan, mi metto a girare tutti i baracchini della zona in cerca di un giacciolo che non contenga latte. La ricerca è lunga e difficile, ma alla fine paga, con la scoperta del laobingbang (老冰棒), il “ghiacciolo della Vecchia Pechino”, con tanto di carta bianca con scene tratte da intarsi della dinastia Qing di un vecchio con cappello tondo e codino che offre il ghiacciolo a un bambino a piedi scalzi e con il tradizionale ciuffo di capelli in cima alla testa. Del resto si sa, i cinesi hanno inventato tutto: se loro sono le invenzioni della pizza e degli spaghetti, perché non il ghiacciolo? Difatti il suddetto dessert, oltre a un lievissimo gusto di latte (che comunque è minimo, grazie al cielo), sa di banana, il frutto tipico della steppa ai confini della Mongolia.
Tutto sommato il laobingbang non è tanto male, o quantomeno è quanto di più vicino a un ghiacciolo italiano si possa trovare da queste parti. E così la sera, dopo l’ennesimo pasto luculliano frutto della mia cucina italiana o di quella sichuanese di Dandan, si cammina per Dongyangguan Hutong, o nel parco di Nanguan, o in Beixinqiao San Tiao, in una mano quella della dolce metà, nell’altra il laobingbang. E, dall’altra parte del mondo, sembra quasi di tornar bambini a Milano. O a casa propria, sarebbe più onesto dire. La mia casa, oramai, è qui.