E’ il penultimo giorno del Chunjie, sono solo a Pechino per questa giornata, e decido di uscire a fare un giro, visto il bel tempo. Scelgo, scegliendo sull’Insider’s Guide to Beijing, di visitare il Tempio delle Cinque Pagode (五塔寺), ad Haidian. Le strade sono sgombre, il sole è brillante, e quindi perché non dare un po’ di lavoro ai tassisti questa settimana di festa, e fare il tragitto in macchina? Ne trovo una in meno di venti secondi, e il tassista si ricorda pure di me perché una volta mi ha portato al lavoro. Non conosce il tempio, ma conosce l’indirizzo. Bene, si parte – il secondo anello scorre piacevole e veloce, e in un quarto d’ora siamo in zona. La guida dice di andare 500 metri a Ovest della Biblioteca Nazionale: il tassista fa un chilometro abbondante, poi finalmente appare un tempio. Scendo, e mi rendo conto che non è quello giusto - la targa recita “Tempio della Longevità” (万寿寺). Lo dico al tassista, ma quello non può fare inversione. Pazienza, do un’occhiata rapida da fuori al tempio, recentemente rinnovato e ospitante una mostra di ceramiche, e scopro che proprio accanto sorge un “Tempio della Celebrazione Tardiva” (延庆寺), porta principale chiusa, e all’interno un groviglio di stradine e pingfang, poveri e maleodoranti. Mi chiedo con che senso l’autorità competente scelga come spendere i soldi per i restauri dei beni culturali, in questa città.
Entrerei volentieri a visitare il Tempio della Longevità, non fosse che il sole di questa stagione tramonta presto dietro i grattacieli di Haidian, e quindi vorrei vedere il mio Tempio delle Cinque Pagode prima che faccia buio. La cassiera, con fare decisamente freddo e indisponente, indica verso est e dice “Cammina per venti minuti e ci sei”. Mi avvio, attraverso la strada, salgo su un altro taxi. Il tassista non ha idea di questo tempio, suggerisce che forse si trova all’interno del vicino parco di Chaizhu (柴竹院公园). Proviamo a fare il giro dell’isolato ma nulla, delle Cinque Pagode nesuna traccia, è un tempio fantasma. Rassegnato, chiedo al tassista di portarmi indietro al Tempio della Longevità, che però sta chiudendo. Convinco il guardiamo a farmi dare un’occhiata al primo cortile, un bell’esempio di stile Han, con le torri del tamburo e della campana, e delle inferriate piene di tavolette votive rosse. Esco di nuovo e, nel sole che ora tramonta, mi chiedo che fare della mia giornata. Le ombre si allungano e si alza il vento gelido del Nord.
Cammino di nuovo verso est, fino a una cappella dedicata a qualche divinità taoista, al cui interno una mezza dozzina di signori si sono riuniti per giocare a scacchi. Consulto la guida cinese che mi sono portato e, mappa alla mano, cerco di capirci qualcosa. Pare che il mio tempio sorga nei pressi di uno specchio d’acqua, quindi decido di seguire il canale che passa proprio lì davanti. Dopo cinquecento metri, la strada è chiusa da un’inferriata, che delimita un condominio: più avanti intravedo il parco di Chaizhu. Sconsolato, cerco una soluzione alla mia sfortuna, quand’ecco un segno celeste: a poca distanza, vedo passare un signore che, tranquillamente, se la passeggia sul canale, camminando come se nulla fosse sul ghiaccio. Lo chiamo, quello si avvicina e gli chiedo informazioni. Del tempio non ha mai sentito nulla, ma è convinto di aver capito la mappa. “Andiamo” dico io. Scavalco la balaustra di pietra e con lui mi incammino. Il tizio mi guarda e commenta “E’ proprio comodo camminare sul ghiaccio: le strade normali sono piene di muri e inferriate, qua sopra si può andare dove si vuole”. Non posso che dargli ragione, benedicendo in cuor mio il meraviglioso spirito anarchico e pratico dei cinesi.
E’ così che arriviamo a un laghetto con delle barche ormeggiate. Il mio compagno consulta una mappa a muro e mi porta all’uscita nord. “Da qui attraversi la strada e ci sei” assicura. Lo ringrazio, guardandolo continuare la sua passeggiata verso est.
All’uscita nord ci sono tre bigliettaie che discutono animatamente tra loro, una vorrebbe per qualche oscura ragione mandarmi a un altro tempio, le altre due indicano direzioni diverse. Poi finalmente si mettono d’accordo: da qui verso est, si attraversa la strada, e poi dopo 200 metri si è arrivati. Cammino, cammino, ma del tempio nessuna traccia.
Ora, mi sta bene che su dieci persone a cui chiedo, in dieci mi diano una risposta diversa, ma che anche le due guide che ho portato mi diano indirizzi diversi, ed entrambi palesemente sbagliati, mi sta meno bene, e soprattutto comincio ad accorgermi che anche la mappa o è sbagliata o è stata compilata anni fa quando le strade erano diverse. Rileggendo le pagine, scopro peraltro che il mio tempio ha anche un secondo nome, che nessuno sembra riconoscere, ovvero “Tempio del Vero Risveglio” (真觉寺). Finalmente passa un signore, di quelli che trovi solo a Pechino: sessant’anni suonati, leggermente corpulento, che con dieci gradi sotto zero e vento gira in bicicletta; ha una mantella di tela cerata marrone che lo copre dalla testa alle ginocchia e la sigaretta accesa in mano. C’è qualcosa di indicibilmente ridicolo nel vedere un pensionato sovrappeso che pedala, impacciato dalla mantella, bastonato dal vento gelido e al tempo stesso tiene una sola mano sul manubrio perché con l'altra porta la stizza alla bocca tirando energicamente, con un’espressione assolutamente naturale, come se fosse la cosa più normale del mondo. Lo chiamo, quello si mette la sigaretta in bocca, rallenta, traballa pericolosamente prima di fermarsi, poi finalmente arresta il veicolo e mi guarda. Gli spiego il mio problema. Quello ci pensa, guarda la mappa, poi dice “知道了”. Ho capito.
Mi fa una spiegazione particolarmente complessa, e mi spedisce in una direzione totalmente diversa da quella che ho preso finora. Con quel che ho da perdere, mi fido, ringrazio e saluto. E poi, infilandomi in una stradina diroccata, le intravedo tra le cime degli alberi spogli: le Cinque Pagode.
Il Tempio ha ormai chiuso da almeno un’ora, ma il guardiano mi permette di fare qualche foto dall’interno del cancello, nella bella luce del tramonto. Soddisfatto della mia vittoria, mi riprometto di tornare a visitare il Tempo con più calma.
A Pechino è così, ogni giorno è un’avventura. Nulla è facile, ma il premio per chi riesce a farcela è talvolta prezioso. Sono contento di riuscire ancora, dopo un anno e mezzo, ad apprezzare questa città e amarla così tanto. Basta armonizzarsi ai suoi ritmi, alle sue logiche e a quelle della gente che cammina per le sue strade, senza lasciarsi catturare dalla rete del capitalismo e dell’ansia, e la si può vivere davvero bene.