2010-02-01

Riti Privati

Gli italiani si chiedono spesso: dove vanno a finire i cinesi che muoiono? Sull'argomento c'è un'inspiegabile silenzio, tale che sono sorte varie leggende metropolitane in base alle quali i cinesi morti vengono bruciati in forni segreti sotto China Town, sciolti nell'acido oppure riciclati nei jiaozi (il che curiosamente trova parallelo in una storia medievale cinese in cui i pellegrini venivano trasformati dai briganti in farcia da raviolo avvelenata per uccidere altri pellegrini). La verità è che i cinesi vivono la morte in maniera estremamente privata e, un po' per rispetto verso gli antenati e un po' per superstizione, non parlano praticamente mai dell'argomento e anche se interpellati tagliano corto e cambiano discorso.

E' durante il Chunjie che vengo effettivamente a scoprire come le cose funzionano, perché insieme a Dandan e famiglia andiamo a visitare la tomba dei nonni paterni. Per i cinesi questo avviene solitamente nel giorno dei morti, quarto giorno del quarto mese lunare (vi ricordate che quattro e morte si pronunciano uguali?), ma a causa delle migrazioni per il Paese della generazione più giovane, oggigiorno il momento dell'anno in cui le famiglie si riuniscono è il Capodanno, e così si va. La cosa che più mi incuriosisce è il perché si vada al cimitero, e lo chiedo al signor Cheng: capisco gli italiani cattolici, ma voi siete atei e comunisti; se è vero che rifiutate le superstizioni feudali e non credete nell'aldilà, perché andate a riverire i morti al cimitero? E' tradizione, mi spiega, queste cose vanno al di là della superstizione. E' l'unica volta da che lo conosco che non mi fornisce una risposta chiara e soddisfacente, ma credo di capire cosa intende. Da un lato c'è il rispetto cinese per le tradizioni, che esistono di per sé stesse e non per quello che rappresentano; e dall'altro l'affetto che lega genitori e figli, che trovano sollievo nel recarsi nel luogo dove giacciono i corpi dei loro predecessori.

Io, Dandan, padre e madre prendiamo il nostro bravo autobus che dopo una lunga corsa ci porta all'estrema periferia di Chengdu. Si tratta di un tipico sobborgo fatiscente di città cinese, completamente asfaltato e fatto di case brutte, squadrate e cadenti. Mi stupisce mio suocero, quando commenta che cinque anni fa era tutto prati verdi e risaie, e solo l'anno scorso si vedevano ancora passare contadini per la strada. Questa è la Cina d'inizio XXI° secolo, cari miei.
L'economia del quartiere si regge chiaramente sul cimitero, infatti tutti i negozi sulla strada vendono gran quantità di articolri funerari: non solo fiori e ceri, ma anche incensi, petardi e una quantità incredibile di repliche infiammabili di oggetti prestigiosi. E qui vale la pena di elencarli: il più classico è il denaro. Ci sono mazzette da 10, 50 e 100 kuai, ma invece della faccia del Grande Timoniere abbiamo di tre quarti Yanluo Wang, il re dell'Inferno (che fondamentalmente sembra un qualunque mandarino dallo sguardo saggio e spietato). Invece della dicitura “Bank of China” c'è scritto “Bank of Hell”, e tutti gli altri dettagli sono cambiati di conseguenza. Ora, il denaro da bruciare ha una lunga Storia in Cina, e fin dai tempi antichi lo si trova. Il principio è che bruciando, il denaro si trasforma in aria, ossia qi o spirito, e raggiunge il defunto, che potrà avvalersene nell'aldilà per guadagnare prestigio e faccia, instaurare guanxi e corrompere gli ufficiali dell'Inferno, che come quelli terreni sono particolarmente sensibili ai regali. Invenzioni più moderne sono invece i cellulari, status symbol fondamentale per ogni cinese, perfette repliche in carta; e poi orologi (alcuni con la scritta Rolex ben in evidenza), automobili in miniatura, ville in miniatura, e chi più ne ha più ne metta. Anche qui l'inventiva cinese non ha limite. La famiglia Cheng, essendo una famiglia di intellettuali educati e comunisti, ignora queste superstizioni e cammina oltre i banchetti di questi articoli.

Percorriamo la strada recentemente asfaltata e già dissestata che porta alla collina su cui sorge il cimitero. Numerose macchine sia ricche che povere sono parcheggiate a bordo strada. All'entrata del cimitero vero e proprio c'è ad attenderci un esercito di ayi, armate di spugna e secchio d'acqua, che offrono i loro servigi per lavare le tombe. Ne prendiamo una e saliamo la china verso la tomba dei nonni. Le tombe cinesi sono simili alle nostre, ma più piccole: infatti i corpi vengono inumati prima d'essere sepolti. Anche lo spazio per i morti è poco e i cimiteri sono sovrappopolati e probabilmente un bel po' di tombe sono abusive. Le lapidi in sé sono per lo più alte un metro, cilindriche e spesso rastremate verso l'altro a mo' di obelisco; sono di cemento coperte di piastrelle di ceramica, le stesse piastrelle usate ovunque in Cina per coprire i muri delle cucine, de bagni o dei vecchi grattacieli costruiti negli anni '80. Essendo incollate allo stesso modo cinese, la metà sono frantumate a terra dopo il primo anno. Sul lato anteriore le lapidi hanno targhe di marmo incise, che portano spesso la foto del defunto e la dedica di chi sopravve loro.

Guardiamo l'ayi pulire rapidamente le lapidi dallo sporco accumulatosi nei mesi precedenti, e rimaniamo in riflessione sul significato che per noi ha essere in quel luogo ora. Quindi, pagata e congedata la pulitrice, accendiamo un tricchetracche, che fragorosamente scoppietta per un buon mezzo minuto. E' per attirare l'attenzione degli spiriti e avvisarli che ci sono visite, mi spiegano; effettivamente il rumore sveglierebbe anche i morti. Quindi piantiamo una piccola bandiera di carta sulla lapide, tenendola ritta con del fango, per segnalare che c'è stata una visita, non solo ai morti ma anche ai vivi. Ai piedi della lapide deponiamo le offerte, ossia frutta fresca, frutta secca e fiori. La madre di Dandan taglia i fiori lasciando il gambo separato dalla corolla: Dandan mi spiega che se i fiori sono lasciati interi, qualcuno verrebbe a rubarli e li rivenderebbe. La praticità vince sempre su tutto in Cina. Di solito si offrono sigarette agli uomini, ma sempre Dandan mi spiega che siccome il nonno è morto di cancro ai polmoni, è meglio non offrirgli altre sigarette. Sorrido, stupito da questa logica. Di solito è in quest'occasione che soldi e simili vengono bruciati, ma come ho già detto la famiglia Cheng fa volentieri a meno di queste pacchianate.

Accendiamo delle candele, quindi ciascuno di noi prende in mano tre bacchette d'incenso e, a turno, fa koutou - ossia si inginocchia e si prostra con la fronte quasi a terra -, pianta le bacchette d'incenso nel terreno e parla brevemente con i morti, salutandoli, raccontando cos'è successo dall'ultima volta che si è fatta visita, e augurando di stare bene nell'aldilà. Ci si aspetta che lo faccia anch'io, essendo ormai quasi un membro della famiglia: la cosa è abbastanza strana, parlo in italiano perché in cinese non saprei che dire. Mi presento, proclamo la mia onestà e la mia volontà d'essere un buon marito e prendermi cura di Dandan. La famiglia sembra soddisfatta, senz'altro la cosa ha un profondo significato per loro. E' stata creata una relazione anche con le generazioni passate, una presentazione più importante di quella con qualunque altro parente ancora in vita.

Da parte mia, mi sento privilegiato nel poter essere stato testimone di un rito così fondamentale e così segreto, una cosa veramente di famiglia. Sebbene non creda minimamente che i morti mi sentano, so che mi sentono i vivi, ed è per loro che sono qui. Forse sto cominciando anch'io a pensare come un cinese, come un asiatico. Forse non c'è alternativa, quando si vive in Asia. E forse è anche e soprattutto per questo, per cercare altri modi di pensare e di sentire, che sono venuto in questo Paese. Oggi, certamente, ne ho trovati.