2009-01-04

Tra italiani nella notte pechinese

L’estate Pechino è tendenzialmente torrida, e su tutta la città grava una pesante afa mescolata ad inquinamento che rende il respiro faticoso. Non è un bel periodo, a meno che siate in vacanza. Ma un po' di sollievo arriva al tramonto, quando il sole cala e la gran calura sfuma. Un alito di vento soffia via il caldo e l’umidità e, senza zanzare, si sta seduti all’aria aperta a chiacchierare, rilassandosi con qualcosa di fresco.

E’ una sera così che, Dandan fuori città, esco con la mia amica Viola e ci troviamo davanti al Jiangjinjiu, sulla piazza delle Torri del Tamburo e della Campana. Nella scelta tra infilarci nel locale caldo e fumoso e ascoltar musica, oppure stare fuori la decisione è facile. Un paio di latte di birra Yanjing, acquistate allo xiaomaibu a 3 kuai l’una, e poi ci impadroniamo di uno dei tavolini incustoditi sulla piazza. Vicino a noi, altre persone con delle sedie rimediate in qualche bar o casa privata stanno chiacchierando tranquillamente, mentre dal locale filtra il suono di chitarre acustiche e bonghi.
E’ un piacere starsene al fresco e raccontarsela nella lingua madre. Dopo un po’, ecco che compare Cristina con una sua amica, argentina, ma milanese d’adozione. Dov’è che stai? Ah, ma guarda, avevo un cugino che viveva proprio a duecento metri da lì. Com’è piccolo il mondo.

L’argentina sta qui a studiare cinese per un mesetto, e insieme sparliamo delle cattive abitudini di Milano, dall’infighettarsi anche solo per andare a comprare le sigarette, allo stress dell’essere sempre in modalità lavoro anche nel tempo che dovrebbe essere dedicato allo svago.
Cristina, non si sa come, tira fuori un pacchetto di Diana Blu e le fa girare. C’è un che di nostalgico in questa riunione di italiani, di nascita o d’adozione, all’ombra delle Torri, circondati da musicisti cinesi e skaters che percorrono la piazza sotto la luce dei lampioni. Parliamo tutti male dell’Italia, ma alla fine la amiamo. Non per quello che è, ma per quello che potrebbe essere se volesse. E’ come quando si pensa a una propria ex: bei ricordi, grandi speranze, ma alla fine sai che non tornerete assieme, non nel futuro prevedibile almeno.

Si fa tardi, ed è dolce la brezza della notte. Le Yanjing fanno posto a due mojitos, più o meno imposti dai proprietari del tavolino che devono pur incassare qualcosa. C’è del liquore scadente con della menta appassita e non pestata, niente zucchero di canna, e del lime tagliato a quarti buttato così nel beverone. Eh, il mojito sì che in Italia lo sanno fare. D’altra parte lo paghi sette euro, non 35 kuai come qua. Ma poi che stiamo a parlare di mojito a fare che siamo a Pechino. Ordina un’altra Yanjing va’, Cristina tu la sai lunga che hai chiesto il Bacardi Breezer, almeno in quello il sapore di lime ci sta.

Si fa tardi, e si farebbe ancora più tardi. Ma la stanchezza sopravviene, dolce. Via, si va. Saluti e abbracci all’italiana. Ci vuole di tanto in tanto una serata così. A Pechino.