2008-03-07

Chunjie

Chunjie (春节) significa letteralmente “Festa della Primavera”, e per i cinesi, che fondano la loro civiltà sul calendario, sulle celebrazioni e sull’aderenza ai riti, rappresenta quello che per noi sono Natale, Capodanno e Ferragosto assieme. Il Chunjie segna l’inizio del nuovo anno lunare, ed è un periodo in cui la famiglia si riunisce e si dedica ad una serie di attività tradizionali che per lo più consistono nel mangiare piatti particolari ritenuti di buon augurio, rendere omaggio ai parenti superiori, regalare soldi ai giovani della famiglia, sparare fuochi d’artificio, e in generale divertirsi in una calda atmosfera familiare.

La preparazione al Chunjie è come da noi prima di una lunga vacanza. Già un mese prima se telefoni in un’azienda cinese ti dicono che il Chunjie è vicino ed è meglio parlarne dopo le feste, e non c’è verso di far concentrare gli impiegati. Del resto, se considerate che in una settimana di vacanza tutti i cinesi che vivono lontano da casa tornano al luogo d’origine, e una fetta sempre crescente di persone decidono di viaggiare e fare turismo, otterrette un volume tale di traffico automobilistico, ferroviario e aereo che a confronto il Giorno del Giudizio sembrerebbe una gita ordinata e serena. La gente pianifica il viaggio tre mesi prima, perché farlo dopo significherebbe non trovare posto per qualunque prenotazione.

Ne va da sé che per il Chunjie del 2007 io sia a Chengdu, almeno per qualche giorno. Siccome ho le ferie flessibili parto qualche giorno prima e torno a metà settimana, trovando i voli pressoché vuoti. E’ la prima volta che passo una festa con una famiglia cinese, ed è anche la prima volta che incontro la famiglia allargata di Dandan. Ora, i legami di parentela cinese sono probabilmente i più complicati al mondo: per ogni relazione c’è una parola, e guai a chiamare le persone col nome proprio. Se c’è confidenza magari sì, ma solo insieme al grado. Non entrerò nei dettagli in questo post, ma sappiate che il nome con cui dovete rivolgervi a una persona cambia non solo secondo la generazione, ma anche a seconda del sesso, dell’ordine di nascita e della parentela materna o paterna, e non voglio nemmeno cominciare a parlare dei parenti acquisiti. A confondere ancora più le carte c’è il fatto che il bisnonno materno di Dandan ha avuto tipo 12 figli, e quelli minori sono più giovani dei figli maggiori dei suoi figli maggiori, per cui per esempio lo zio della madre di Dandan ha 10 anni meno di lei.

Dandan poverina ci prova anche a spiegarmi chi sono le persone sedute a tavola, e io più o meno mi ricordo anche come chiamarle, ma confesso di avere ancora le idee confuse sul loro grado di parentela. A quanto pare la famiglia materna, quella del bisnonno con 12 figli, che per la cronaca era tipo uno dei commercianti d’oppio più mafiosi della città, si è sparsa per mezzo mondo. La madre di Dandan è nata a Shenyang in Manciuria, è cresciuta ad Urumqi nel Xinjiang e poi si è sposata a Chengdu, ma sua sorella minore ora vive in Australia. Suo zio, quello giovane, vive a Chengdu ma ha un passaporto di Hongkong e la moglie e il figlio vivono a Londra. Delle due zie (zie di chi poi non so) sedute a tavola una sta effettivamente a Chengdu, l’altra fa il medico a Nanchino. Da parte di padre invece abbiamo due fratelli, uno a Chengdu e uno a Pechino, e due sorelle, una a Kunming e una a Shanghai. Da malditesta, e per fortuna che meno di metà della famiglia è intervenuta a Chengdu quest’anno.

Alla vigilia del Chunjie è tradizione fare un cenone: ci si siede a tavola verso le 6.30 e si attacca un numero impressionante di portate, e devo dire che a parte l’ora d’inizio non è molto diverso dai nostri pranzi festivi in famiglia. La cosa strana è che l’ora è unicamente dettata dalla necessità di terminare la cena entro le 8.30, inizio del Gran Varietà di Capodanno, un polpettone impossibile trasmesso in diretta da Pechino su tutte le reti, che apparentemente tutti i cinesi guardano. Tra le 8.30 e 12.30 appunto quattro presentatori agghindati in abiti che sembrano un misto tra il Gran Galà del Re di Francia immaginato dai cinesi, la parata militare del generale Puntzerstofen (quello di Mai dire Banzai, proprio lui) e il Ballo di Cenerentola immaginato dalla Disney, in un tripudio di strascichi, acconciature scolpite in forme improbabili, pizzi e merletti, bottoni d’oro, paillettes, giacche sbrilluccicose che neanche Little Tony ai suoi tempi peggiori, e chi più ne ha più ne metta, presentano una successione di cantanti, balletti tradizionali e moderni e performance di comici e cabarettisti, di cui un 30% forniti dall’esercito e in divisa della festa, tutto in cinese sottotitolato in cinese, e senza pubblicità.




Alle 8.30 siamo tutti seduti davanti alla televisione. Alle 8,47 la gente comincia a scusarsi, a dire che è tardi, e che ci si telefonerà i giorno dopo per gli auguri. Entro le 9.00 sono fuori dalla porta. Genitori e nonna rimangono a guardare il Gran Varietà e io e Dandan ci piazziamo in camera a guardare un DVD. Poi finalmente arriva la mezzanotte, e partono i fuochi artificiali, in tutte le direzioni fiori di fuoco multicolori, vanno avanti incessatemente per due ore. Gran tripudio anche in TV, che rimane accesa, ma a cui nessuno presta più attenzione. Per tutto il Chunjie comunque il programma sarà riprosposto a reti unificate, come “il meglio del Gran Varietà”, non tanto perché alla gente piaccia, ma probabilmente perché durante la settimana agli studi della TV rimangono tre persone, due bao’an e un tecnico che monta nastri in loop e poi torna a casa.

Alla fine il Chunjie non è molto diverso dalle nostre feste – famiglia, cibo, varietà televisivo trashissimo, fuochi artificiali, ozio, auguri. La Cina è vicina? Quando si tratta di feste, probabilmente è più vicina al’Italia di quanto si pensi.

2008-03-04

Questione di Targhe

Uno che viene dall’Italia normalmente non fa caso alle targhe delle auto, se non in qulche caso per capire da che provincia viene il deficiente che ha davanti e va a 30 all’ora, all’unico scopo di trovare un’argomento di insulto. In Cina no, la targa ha un potentissimo valore identificativo, e non solo vi dice a chi non dovete mai suonare il clacson, ma in molti casi può rendervi oggetto di derisione o invidia.

La prima e più importante distinzione tra targhe è quella di colore. Cominciamo a parlare delle targhe blu, quelle più comuni. Chi guida un’auto a targa blu, con caratteri bianchi, sta alla base della piramide sociale della strada – ovvero, è un comunissimo cittadino cinese, civile, alla guida di un’auto privata. Le targhe blu hanno un carattere cinese, due lettere e quattro numeri. Ovviamente, date le dimensioni del Paese e della sua popolazione, è necessario avere un certo numero di combinazioni. Il carattere cinese identifica la provincia: 京 per Pechino, 沪 per Shanghai, 苏 per il Jiangsu, 川 per il Sichuan, è così via. La prima lettera identifica il distretto, tutto ciò che viene dopo è un semplice codice identificativo. Le targhe blu le vedete appiccicate a ogni tipo di veicolo civile, dal miandi più scassato, all’Audi nera con finestrini neri del dirigente del Partito con autista in divisa, alla Ferrari dell’imprenditore di successo. A parte la competizione di status sul mezzo, si compete anche sull’origine, tipo che se guidi a Pechino con una targa dello Hebei ti danno del contadino, e comunque se dopo il 京 hai una lettera tipo I o L vuol dire che vieni dalle periferie della città, e ti becchi del contadino comunque. Se invece hai A o B ti puoi bullare perché sei uno del centro. Si compete talvolta anche sui numeri, perché le targhe con numeri bassi sono state le prime ad essere emesse, e chiaramente sono finite in mano ai potenti del distretto. Per cui se vedete una targa con un numero sotto 0100 sapete che avete a che fare con un personaggio potente, quasi sicuramente immanicato con politica ed economia, ed è meglio non cercare guai. D’altra parte, quando questi personaggi vanno in posti equivoci, tipo nei KTV, è costumanza che coprano la targa, così non si sparge la voce che la gente del Partito va in questi luoghi di perdizione, e anche perché qualcuno, in cerca di denaro o vendetta e vedendo il numero basso, sarebbe tentato di fare una foto e pubblicarla, e per qualcun altro, magari un giornalista o un rivale politico, sarebbe relativamente facile risalire al titolare e svergognarlo.

Poi ci sono le targhe nere con le lettere bianche e il carattere cinese bianco. Sono identiche alle targhe blu come codici, senonché identificano una macchina appertenente a un cittadino straniero. Il che significa che uno con la targa blu di solito si fa problemi a suonarvi e di sicuro non vi taglia la strada. Visto il prestigio assolutamente ingiustificato e superstizioso di cui godono queste targhe, il governo ha deciso che da quest’anno anche gli stranieri hanno le targhe blu, uguali agli altri, che mi sembra anche giusto. Solo che adesso le targhe nere sono ancora più preziose, e ci sono dei cinesi che pagano un’auto anche il 20-30% in più solo perché ha la targa nera e così possono fare brutto sulla strada ai loro concittadini.

Le targhe nere con carattere rosso appartengono al personale diplomatico straniero. Il carattere è lo 使 di ambasciata (大使馆) o consolato (领事馆), poi ci sono tre numeri, che identificano il Paese (001 per la Russia, 002 per gli USA... 158 o giù di lì per l’Italia, e non commentiamo). Quindi altri tre numeri che vanno per ordine di grado: 001 è l’ambasciatore, 002 il console, e così via. Le targhe diplomatiche, in quanto protette dalla legge internazionale, possono fare un po’ quello che vogliono, tipo passare col rosso o andare in corsia d’emergenza con la sirena, anche se poi l’auto appartiene allo sportellista dell’ufficio visti, comunque anche la polizia si tiene lontana se può. Queste targhe purtroppo non sono alla portata del cittadino cinese, che può solo invidiarle.

Le targhe bianche sono quelle militari. Tanto per cominciare ce ne sono di tre tipi: quelle con il carattere rosso 军 appartengono all’esercito, quelle con il carattere rosso 警 alla polizia, e quelle con le lettere rosse WJ sono i wujing (武警), ovvero la polizia armata. Secondo quanto mi dicono amici cinesi, la polizia normale in Cina di norma è disarmata: sarebbe dispendioso, pericoloso e inutile armare milioni di funzionari che come compiti hanno semplicemente la direzione del traffico piuttosto che la risoluzione di risse (alla faccia di chi dice che la Cina è un Paese con la polizia violenta, e soprattutto alla faccia dei democratici Stati Uniti dove anche gli impiegati negli uffici tengono la rivoltella alla cintura); invece i wujing, che per la metà girano in borghese con auto borghesi, sono armati di pistola, e se sono i divisa girano anche con le jeep pimpate e i fucili, e si occupano dei casi giudicati “estremi”, ovvero quelli in cui una chiacchiearata a base di buon senso con le persone non basta. A questi caratteri o lettere rossi seguono una lettera nera, per indicare la divisione, e cinque numeri neri per il veicolo. Le targhe militari fanno paura a tutti, quelle della polizia meno, quelle dei wujing di più; fanno paura anche più di quelle diplomatiche e straniere, perché se lo straniero sa difendersi bene, il militare cinese è più nervoso e può anche cercare deliberatamente o scontro e mettere nei guai chi gli ha fatto un qualsiasi sgarbo stradale. Chiaro anche che i militari, volendo, possono farsi beffe del codice stradale.

Infine ci sono le targhe personalizzate. Non so a chi è venuta l’idea, forsa a un impiegato dell’Agenzia delle Entrate che voleva inventarsi una nuova voce positiva di bilancio, fatto sta che un giorno la motorizzazione ha messo in vendita, e a caro prezzo, le targhe “a piacere”: solito carattere provinciale, lettera distrettuale, poi tre lettere e tre numeri. Valore legale pari alla targa civile blu, ma valore di status altissimo: tutti i tamarri dalla strada l’hanno voluta, e da lì in poi è stato il delirio: cose come “HAN 518” ci potevano anche stare, ma quando sono comparsi “USA 999” e “RMB 888” è stato troppo. Articolo di critica sul Quotidiano del Popolo e chiusura dell’ufficio vendite targhe private. Il che appunto rende le rimanenti ancora più preziose.

Strane storie si fanno in questo Paese per una targa. Ma se chiedete a un cinese della strada qual’è la targa dei suoi sogni, la risposta sarà una sola: “Nessuna targa”. Sì, perché ci sono anche le auto senza targa: cioé, voi comprate una macchina, e con il libretto di proprietà andate alla motorizzazione a chiedere l’emissione di una targa, che vi verrà concessa in un perido che va, diciamo, dalle due alle quattro settimane. E per quel periodo, voi andate in giro senza targa. Ora, il codice stradale cinese è difficile da capire non solo per noi stranieri ma anche per gli autoctoni, e infatti a Pechino si stima che l’automobilista medio spenda 600 RMB l’anno in multe, che è tanto, considerato lo stipendio medio dell’automobilista medio. In centro, tutti guidano con i nervi a fior di pelle per paura delle telecamere agli incroci. Ma senza targa no, l’autovelox può anche fare un book fotografico di una macchina, tanto non arriveranno mai al proprietario. E allora è la festa – quelli senza targa sono a tutti gli effetti dei pirati della strada legalizzati, fanno quel che vogliono, passano col rosso, vanno dritti quando c’è la svolta obbligatoria, e temono solo la polizia del traffico. E’ un periodo di vacanza dalle leggi della strada, e gli automobilisti se lo godono alla grande, regredendo al livello di minorenni davanti a una playstation. Poi, qualche settimana dopo, vengono convocati alla motorizzazione per attaccare la targa, e tornano ad essere gli umili automobilisti da targa blu, e i loro giorni da leone lasciano il posto a quelli da pecora. Ma non dimenticheranno mai quella manciata di giorni in cui chiunque, dal presidente di Partito locale al'omino della consegna a domicilio più lurido, possono assaggiare il sapore della libertà e della gloria, al volante di una macchina senza nome e senza identità.