I tassisti sono una delle figure portanti di Pechino. Ne abbiamo già parlato (qui, qui e in tanti altri post), ma non ne parleremo mai abbastanza. Esiste certamente uno stereotipo di tassista pechinese, ovvero sporco, puzzolente, umorale al punto da cambiare gentile a scorbutico a seconda della luna, lamentoso, pettegolo, ma onesto e dal cuore d’oro. Nella realtà però le versioni del tassista pechinese iperuranico sono quantomai varie, e oggi racconteremo di due di esse, diverse come il giorno e la notte.
Incontro il signor Fan una bella mattina d’inverno, nei pressi del Landao. La prima cosa che noto è il suo numero di serie, che comincia con due zeri seguiti da un due. Mi sorride, poi alza la mano per salutare una persona che vede per strada, che contraccambia il saluto. “Da quanto tempo guidi il taxi?” gli chiedo. “Sedici anni” risponde candidamente. Il signor Fan, laobeijingren (老北京人), ovvero pechinese DOC, di quelli veri, ha cominciato a guidare il taxi nel 1990. Vive a Chaowai, dove apparentemente conosce tutti, e tutti conoscono lui. Per non annoiarsi, ascolta le notizie del radiogiornale, e ama commentarle con i passeggeri. Infatti propone subito come argomento l’accordo tra Cina e Francia per l’acquisto di Airbus, e mi racconta orgoglioso che proprio quel giorno c’è il volo inaugurale del primo velivolo, il più grande aereo di linea al mondo, tra Pechino e Parigi. Personaggio singolare il signor Fan, pulito ed educato. Vedendomi in difficoltà con il mio mandarino, mi chiede come me la cavo con il Beijinghua, e senza indugi tenta di insegnarmi alcune espressioni tipiche. Manco a dirlo, conosce le strade della città come le sue tasche, comprese le scorciatoie più impensate attraverso i xiaoqu. Il tassista ideale.
Tutto il contrario di Zhang, il tassista che incrocio qualche giorno dopo, sulla via per un hotel nella zona olimpica. Zhang sembra appena uscito di prigione: è nero, grasso, sporco, con occhi pallati da maniaco e apparentemente incapace di parlare, ma solo di grugnire. Per circa cinque minuti mi studia, spostando gli occhi folli dalla strada a me. Poi sorprendentemente articola alcune parole in uno strano dialetto fatto di erre arrotate, impossibile da intendere. Anche se comprendessi del resto, farei finta di non parlare cinese. Senza smettere di guidare su Anwai, zigzagando tra le quattro corsie del nostro senso, Zhang apre un cassetto della macchina e ne estrae un fagottino, che svolge con una mano sporca e con le unghie del mignolo e del pollice lunghe un centimetro. Dentro c’è un anello in oro giallo, con al centro un pezzo di plastica in finta madreperla circondato da brillanti a go go, la cosa più pacchiana del mondo. Me la mostra con atteggiamento losco: so benissimo che è rubato, e se non è rubato è totalmente falso. Probabilmente tutti e due. Scuoto la testa, pretendendo di non capire, ma quello equivoca e pensa che metta in dubbio l’autenticità dei brillanti. Quindi per provarmela, sfrega l’anello sul parabrezza, creandovi una bella riga obliqua di una trentina di centimetri. Poi mi mostra di nuovo l’anello, come dire “Lo vedi che sono diamanti veri?”. Io contino a guardare incredulo il parabrezza sfregiato dall’interno. Adamantino io alla sua offerta d’acquisto, Zhang mette via la patacca e si mette a ravanare in un altro scomparto, cavandone un bel biglietto da visita rosa con la foto di una ragazza mezza nuda. Ammicca. “OK?”. Perfetto, sono le due del pomeriggio e questo vuole portarmi a troie. Continua a guidare, va’, Zhang, che se no ci andiamo a schiantare. Mi molla al mio hotel visibilmente deluso, e guida via, in cerca di un altro pollo. Ma guarda te che gente che prendono al giorno d’oggi per guidare i taxi.
Ogni volta che salite su un taxi a Pechino potrebbe essere l’inizio di un’avventura. Come tale prendetela, inutile fare i seri e i distaccati. Non saprete mai con quale strano personaggio state condividendo il veicolo. Se avete esperienze del genere e vi va, postate pure nei commenti la vostra avventura a bordo di Beijing Taxi. Pu-er-yi-si wei-le-ka-mu tu Bei-jing Ta-ke-xi... a-gei-ne.